Un chatbot che “parla” con la voce e le parole di Carlo Acutis è una notizia forte, affascinante e un po’ spiazzante, soprattutto per chi è cresciuto tra social, IA generativa e memorie digitali. È un esperimento che unisce fede, tecnologia e psicologia, e che apre domande serie su come viviamo il rapporto con i santi, con i morti e con i dati che lasciamo online.
Che cosa è “Io sono Carlo”
“Io sono Carlo” è un chatbot creato dall’Università di Padova, in collaborazione con il supplemento “la Lettura” del Corriere della Sera, per simulare un’intervista al giovane santo Carlo Acutis. Non è un “Carlo che risorge”, ma un modello di intelligenza artificiale addestrato su una base limitata di testi: i libri scritti dalla madre Antonia Salzano e i documenti ufficiali del Dicastero delle Cause dei Santi.
- Il chatbot usa una piattaforma accademica chiamata Lucrez-IA, costruita su Claude (modello di Anthropic), che lavora in un ambiente chiuso e conforme al GDPR europeo.
- Il linguaggio è stato impostato per essere colloquiale, diretto, “da ragazzo”, in linea con l’immagine di Carlo come patrono dell’era digitale.
Non è un “Carlo 2.0”
È importante essere chiari: questo chatbot non è Carlo, ma una sua ricostruzione probabilistica a partire da ciò che altri hanno scritto di lui. Gli mancano diari personali, mail, messaggi vocali, chat con gli amici: tutto ciò che serve per un vero “griefbot”, cioè un avatar pensato per far parlare un defunto come se fosse vivo.
- Proprio per questo, durante i test ha commesso errori: per esempio ha detto che in Paradiso con lui ci sono i nonni, ma quasi tutti sono ancora in vita, e non ricordava il suo libro preferito, “Il piccolo principe”.
- Spesso ripete frasi standard, come se recitasse un copione: più la memoria di un’immagine di santità che la persona concreta con le sue sfumature.
Emozioni, fede e rischio di illusioni
Il progetto nasce dentro una ricerca su “memoria digitale e narrazione del sacro”, guidata dalla psicologa e filosofa Ines Testoni, che studia gli effetti psicologici degli avatar dei defunti. I griefbot, in generale, possono avere una funzione consolatoria, ma toccano zone molto delicate: lutto, aspettative, dipendenza emotiva.
- Nel caso di Carlo, c’è un doppio livello di intensità: la dimensione affettiva (un ragazzo morto a 15 anni, molto amato) e quella religiosa (un santo legato all’Eucaristia, chiamato “patrono di internet”).
- Un chatbot che “parla come un santo” può generare proiezioni, cioè far credere a qualcuno di entrare in contatto con una presenza reale, quando si tratta invece di un algoritmo che rielabora testi.
Cosa ci dice di noi e del nostro modo di ricordare
Questo esperimento rivela molto più su di noi che su Carlo. Il chatbot è costruito su una “narrazione della madre” e su documenti ufficiali: ciò che emergerebbe parlando con lui è lo sguardo di chi lo ha amato e della Chiesa, non la voce integrale di Carlo.
- Il progetto ci costringe a chiederci che cosa sarà, tra vent’anni, la nostra memoria: post, video, note vocali, chat, storie salvate… tutto potenzialmente materiale per futuri avatar.
- Allo stesso tempo mostra che la tecnologia non è neutra: se unisco fede e IA in una “scatola chiusa” che non capisco, rischio di attribuirle un’aura di mistero quasi mistica.
L'immagine è la copertina di “Digital Disciple: Carlo Acutis and the Eucharist”, il fumetto edito da Voyage Comics e dall’Augustine Institute, che racconta la storia del giovane esperto di computer che creò un sito web per mostrare al mondo i miracoli eucaristici.
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