La giustizia ucraina non perdona e spedisce in carcere gli obiettori di coscienza che rifiutano la chiamata alle armi. Nonostante le loro convinzioni religiose. La Corte d’Appello di Ivano-Frankivsk ha respinto il ricorso presentato da Vitaly Alekseienko, il cristiano evangelicale della regione di Donetsk già giudicato colpevole in prima istanza, nel settembre scorso, del reato di «elusione del servizio militare durante la mobilitazione». I giudici l’hanno condannato in via definitiva a un anno, stabilendo un precedente che varrà anche per gli altri circa 5mila ucraini che hanno chiesto di svolgere un servizio civile alternativo.
Alekseienko, 46 anni, ha rifiutato la mobilitazione militare per motivi religiosi ed è il primo obiettore ucraino condannato in via definitiva dall’inizio dell’invasione russa. «Credo in Gesù Cristo e nel suo comandamento di resistere al male senza violenza e di essere operatore di pace, come ci ha insegnato nel Discorso della montagna», aveva spiegato, dicendosi disponibile a prestare un servizio alternativo come prevedeva la normativa ucraina prima dell’introduzione della legge marziale.
Ma ciò non è bastato per far cambiare idea ai giudici e a poco è servito anche il risalto mediatico che la vicenda ha assunto in questi mesi, grazie alla campagna di solidarietà lanciata dalle reti antimilitariste e nonviolente internazionali, che hanno reiterato gli appelli per chiedere la revoca della condanna. «Purtroppo il caso di Alekseienko non è isolato ma è solo il primo in cui la giustizia ucraina ha deciso di utilizzare il pugno di ferro. Si hanno notizie di almeno altri quattro precedenti casi penali in cui agli obiettori di coscienza è stata concessa la sospensione della pena detentiva e la libertà vigilata», ha spiegato Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento italiano.
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