Per decenni i genocidi in Namibia, Ruanda, Repubblica democratica del Congo sono stati nascosti per non ammettere le proprie responsabilità. Qualcosa è cambiato, però, negli ultimi tempi.
"Le atrocità di massa sono sempre atti politici, inerenze del potere, e sono unite da un filo invisibile: il processo di de-umanizzazione e negazione della dignità delle vittime"» afferma Rosario Aitala, giudice della Corte penale internazionale dell’Aja intervistato da Avvenire. Ecco perché, a distanza di anni, ammettere colpe e responsabilità può avere un senso, restituendo dignità a popoli interi la cui memoria collettiva è stata a lungo ferita.
Nei giorni scorsi, ad un secolo di distanza, è stata la Germania ad ammettere che il massacro delle popolazioni Herero e Nama in Namibia durante il periodo coloniale tra il 1884 e il 1915 fu 'genocidio'. Questo è il frutto di un accordo siglato dopo oltre cinque anni di vere e proprie trattative tra le autorità di Berlino e il Paese africano. A titolo di «riconoscimento per il dolore inumano sofferto dalle vittime», la Germania verserà oltre un miliardo di euro in 30 anni, per sostenere i discendenti di Herero e Nama in progetti 'per la ricostruzione e lo sviluppo'.
Tra i 65mila e gli 80mila Herero e tra i 10 e i 20mila Nama furono massacrati durante il periodo della dominazione tedesca della Namibia. Dopo la battaglia di Waterberg nell’agosto del 1904, le truppe a cavallo dell’esercito spinsero la popolazione civile Herero, tra cui donne e bambini, in direzione del deserto del Kalahari. Solo in alcune migliaia tornarono vivi da quelle terre. In seguito il generale prussiano di fanteria Lothar von Trotha fu incaricato di sterminare la popolazione.
«Non si può cancellare il passato – ha ammesso ora il ministro tedesco Haas – ma il riconoscimento della colpa e la nostra preghiera di perdono è un passo importante per elaborare i crimini e per plasmare il futuro». In un secondo momento sarà il presidente della Repubblica tedesca, Frank-Walter Steinmaier, ad andare a chiedere perdono direttamente davanti al Parlamento della Namibia.
Nei giorni scorsi storica è stata anche la svolta del presidente francese Emmanuel Macron in visita in Ruanda. Per la prima volta, infatti, un capo dell’Eliseo ha riconosciuto le «responsabilità» della Francia nel genocidio del 1994 perpetrato dagli hutu contro i tutsi. «Responsabilità» e non «complicità», ha voluto rimarcare il presidente. Che non ha comunque presentato scuse, come da alcune parti ci si attendeva. Macron ha pronunciato il suo discorso al Memoriale del genocidio di Gisozi, quartiere della capitale Kigali in cui sono sepolti i resti di oltre 250mila vittime della carneficina commessa dagli hutu fra il 7 aprile e il 17 luglio 1994, che si concluse con la morte di un numero compreso fra 800mila e un milione di tutsi. «La Francia – ha riconosciuto il presidente – non ha capito che, volendo ostacolare un conflitto regionale o una guerra civile, di fatto rimaneva al fianco di un regime colpevole di genocidio. Ignorando gli allarmi degli osservatori più lucidi, Parigi si assunse una responsabilità schiacciante in un ingranaggio che condusse al peggio, e proprio mentre cercava di evitarlo».
Il 'Libero Stato del Congo' era di fatto un dominio privato che Leopoldo II gestì senza alcun controllo. Lo scorso anno, nel sessantesimo dell’indipendenza di Kinshasa, il governo belga ha deciso di creare una commissione parlamentare che cercherà di scrivere la vera storia della colonia, traendo gli insegnamenti del caso. Il prossimo 21 giugno il presidente congolese Félix- Antoine Tshisekedi si recherà a Bruxelles per partecipare alla cerimonia per il rimpatrio dei resti (di fatto solo un dente) dell’eroe nazionale Patrice Emery Lumumba, assassinato nel 1961, pochi mesi dopo l’indipendenza, in circostanze poco chiare. Il 30 sarà invece il re Filippo a recarsi a Kinshasa. «Nel 2020 dobbiamo essere capaci di guardare a questo passato comune con lucidità e discernimento, un passato ricco di disuguaglianze e violenze verso i congolesi », esortò un anno fa l’ex premier belga Sophie Wilmes. Per chiedere scusa, o per cercare la verità, non è mai troppo tardi.
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