IL CAMMINO SI FA CAMMINANDO
Camminare porta sempre alla scoperta di una nuova via. Ogni strada che si percorre é un lasciarsi andare nelle direzioni più imprevedibili senza sapere esattamente perché e che cosa ci può far deviare al primo incrocio. Anche se attraversiamo gli stessi luoghi percorsi da altri, quello che vediamo è sicuramente diverso, per la stagione, per l'epoca, per la diversa illuminazione e per mille altri motivi, ma soprattutto per la sensibilità con cui interpretiamo il paesaggio circostante. Quando incontriamo un albero possiamo considerarlo in molti modi diversi: possiamo chiederci quanto vale il suo legno o cercare di comprendere la sua struttura biologica; ma possiamo cercare di capire il suo rapporto con l'ambiente e far esperienza della sua bellezza e della sua unicità. Nel primo caso vediamo un oggetto più o meno inanimato, nel secondo caso ci siamo immedesimati in ciò che osserviamo cercando di scoprire la sua essenza, la sua bellezza, il suo mistero. Nel primo caso abbiamo affermato noi stessi, nel secondo abbiamo preso le distanze dal nostro io per aprirci alla "manifestazione" dell'albero. Abbiamo, per così dire allungato il passo, lasciando indietro noi stessi per ritrovarci successivamente percorrendo un'altra strada, il cammino come allegoria della vita, un lasciarsi andare per poi ritrovarsi, cambiati dalle esperienze provate: la gioia, la felicità, l'amore, il caldo o il freddo, il sole, la pioggia, il vento, la novità di situazioni sconosciute, la finzione e la bugia, la maleducazione e l'intemperanza ma anche la sofferenza e la morte appaiono improvvisamente con le sembianze delle persone che incontriamo, delle piccole o grandi esperienze che viviamo, dei panorami che ammiriamo lungo il percorso e, come queste, possono dare felicità o tristezza a seconda che garantiscano doni o privazioni.
La ricerca di una ragione di vita ha, da sempre, contraddistinto l'esperienza del pellegrino (homo viator) in marcia verso un luogo sacro. Le motivazioni che caratterizzavano questa scelta potevano assumere le sembianze di una prova iniziatica, di un'esperienza penitenziale per le colpe commesse, di una richiesta per ottenere benefici materiali o di un ringraziamento per una grazia ricevuta. E i pellegrini che dalle valli vicentine e dall'alta Lessinia si dirigevano verso il santuario della Madonna della Corona non sfuggivano a questa regola. Ma al di là delle motivazioni singole il pellegrinaggio era e rimane, anche per un non credente, un'esperienza autenticamente religiosa. Dove, se non a contatto con la natura, si possono osservare "gli uccelli del cielo" o gigli del campo", contare le stelle del cielo "se le puoi contare", essere sicuri che "i cieli narrano la gloria di Dio", apprezzare il grano o l'uva "frutto della terra e del lavoro dell'uomo"? E anche se sono convinto che un pellegrinaggio non apra la mente alla comprensione dei grandi dogmi di fede o favorisca incontri ravvicinati con un Dio, sono altrettanto convinto che l'esperienza religiosa del pellegrinaggio stia, molto più umanamente, nel comprendere il bisogno di entrare in contatto con gli altri e con la natura abbandonando diffidenze e timori, interessi e convenienze, orgoglio e ostentazione. Ecco allora che il progetto "Strade e Incroci Magici" con la realizzazione di una guida centrata sul recupero di un'antica tradizione religiosa ben si presta per veicolare questa dimensione orizzontale che ci affratella e ci invita a godere della preziosa ed esaltante esperienza della vita fisica che apprezza il mondo con i suoi colori, le forme, i volti e i paesaggi, le passioni e i sentimenti per scoprire un orizzonte senza limiti che parla dell'eternità e dell'infinito.
Andrea Siviero
Dirigente Scolastico
IPSSAR A. BERTI
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