E' in carcere dall'8 ottobre padre Stan Swamy, 83 anni e malato di Parkinson, con l’accusa di «terrorismo maoista». Semplicemente per essersi battuto negli ultimi vent’anni a Ranchi per i diritti degli adivasi – le popolazione tribali dell’India – sulle loro terre. Diritti riconosciuti sulla carta dalla Costituzione indiana, ma sempre più spesso spazzati oggi dall’alleanza tra i nazionalisti indù e le grandi imprese assetate di nuovi territori ricchi di minerali e altre risorse naturali.
Quella che vede al centro padre Swamy non è solo una vicenda personale, ma una questione cruciale per l’India di oggi. «Nel campo oggi noto come tutela dei diritti territoriali i missionari gesuiti hanno svolto un ruolo importante nella promulgazionedel Chotanagpur Tenancy Act (1908) e di altre misure analoghe in tutto il Paese. In sintesi, secondo queste leggi “britanniche”, gli adivasi detengono i diritti di proprietà sulla terra, e ai non adivasi è vietato possedere o acquistare terreni nelle “aree definite” in cui gli adivasi costituiscono la maggioranza. Queste leggi territoriali hanno molto aiutato gli adivasi a mantenere la proprietà delle loro terre e, pur riviste e attenuate, sono tuttora in vigore. Ma nell’epoca attuale, caratterizzata dalle privatizzazioni e dalle multinazionali, sotto il pretesto dello sviluppo sia il governo federale sia le aziende tentano di cambiare le leggi, al fine di impadronirsi dei territori degli adivasi, che sono ricchi di minerali e di altre risorse naturali».
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