Nelle prime ore del mattino del primo febbraio 2021 il Myanmar tornava nell’incubo della dittatura militare. Messa agli arresti l’intera leadership civile, imposti legge d’emergenza e censura, il generale Min Aung Hlaing comunicava la formazione di una giunta militare e la necessità di porre sotto il suo controllo un Paese a suo dire messo in crisi dai brogli nelle elezioni che meno di tre mesi prima avevano confermato il ruolo di governo della Lega nazionale per la democrazia guidata da Aung San Suu Kyi e la volontà popolare di consolidare la giovane democrazia birmana. Immediate le reazioni, con una condanna quasi unanime del golpe all’interno e all’estero e con imponenti proteste. Manifestazioni, come le prime iniziative di boicottaggio e disobbedienza civile che si estenderanno successivamente a settori cruciali dello Stato, controllate da polizia armata e militari con cariche e azioni intimidatorie, ma al 9 febbraio con una risposta violenta che provoca i primi morti. Inizia una escalation di violenza.
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