(Atti 28, 2)
Una storia di divina provvidenza e al tempo stesso di umana accoglienza: è quella che ci propongono le Chiese cristiane di Malta e Gozo, che hanno preparato il materiale della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno. Una storia riportata alla fine del libro degli Atti degli Apostoli e ambientata proprio a Malta e sul mare tempestoso che la circonda.
Divina provvidenza, anzitutto: la narrazione – si legge nell'Introduzione teologico pastorale ai materiali – “ripropone il dramma dell’umanità di fronte alla terrificante potenza degli elementi della natura. I passeggeri della barca sono alla mercé del mare violento e della poderosa tempesta che infuria intorno a loro. Sono forze che li spingono verso approdi sconosciuti, e si sentono persi e senza speranza”. Tra i 276 passeggeri di questa nave alla deriva nel Mediterraneo, solo uno è tranquillo e cerca di infondere coraggio agli altri: è l’apostolo Paolo, imbarcato come prigioniero per essere condotto da Cesare. Egli ha avuto da un angelo di Dio questa assicurazione: “Non temere, Paolo! Tu dovrai comparire davanti all'imperatore e Dio, nella sua bontà, ti dona anche la vita dei tuoi compagni di viaggio” (Atti 27, 24).
La provvidenza di Dio fa dunque sì che tutti i passeggeri abbiano salva la vita; ma anche che la fede cristiana raggiunga Malta attraverso l’apostolo, che vi compirà numerose guarigioni. Per questo ogni anno il 10 febbraio a Malta si celebra la Festa del Naufragio dell’apostolo Paolo.
Umana accoglienza, in secondo luogo. A più riprese il resoconto degli Atti sottolinea l’accoglienza riservata dai maltesi ai naufraghi. Essi li trattarono “con gentilezza” (Atti 28, 2), letteralmente con filantropia, e li “radunarono”, o meglio li “accolsero” (proselàbonto) attorno a un grande fuoco perché si scaldassero e si asciugassero: quel che si dice una “calda accoglienza”! Al momento della partenza dei naufraghi, diedero loro “tutto quello che era necessario per il viaggio” (Atti 28, 10).
La filantropia dei maltesi non è che una variante della filoxenìa (ospitalità; traducendo letteralmente: amicizia per lo straniero) di cui parla la lettera agli Ebrei (13, 2) rinviando alla filoxenìa di Abramo alle querce di Mamre (Genesi 18).
Nel racconto degli Atti, l’amore provvidente di Dio viene reso presente dalla filantropia dei maltesi di allora, a cui i cristiani della Malta di oggi contrappongono l’indifferenza di chi, di fronte all’attuale crisi migratoria, si volta a guardare dall’altra parte. Un’indifferenza che, si sottolinea nell’introduzione, “assume varie forme: l’indifferenza di coloro che vendono a persone disperate posti in imbarcazioni non sicure per la navigazione; l’indifferenza di persone che decidono di non inviare gommoni di 3 salvataggio; l’indifferenza di coloro che respingono i barconi di migranti… […]. Questo racconto ci interpella come cristiani che insieme affrontano la crisi relativa alle migrazioni: siamo collusi con le forze indifferenti oppure accogliamo con umanità, divenendo così testimoni dell’amorevole provvidenza di Dio verso ogni persona?”.
In questi anni le Chiese cristiane non hanno smesso di sottolineare la centralità del vero e proprio comandamento dell’accoglienza (“Ero straniero e mi avete ospitato”, Matteo 25, 35).
Per la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018 papa Francesco ha ribadito che “tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati a rispondere alle numerose sfide poste dalle migrazioni contemporanee con generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza, ciascuno secondo le proprie responsabilità”. I Vescovi italiani hanno ricordato che il fenomeno delle migrazioni è “senza dubbio una delle più grandi sfide educative. L’opera educativa deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione. Particolare attenzione va riservata al numero crescente di minori, nati in Italia, figli di stranieri” (CEI, “Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020”, Roma 2010, n. 14).
Anche le Chiese ortodosse sono sempre state sensibili al tema dell’accoglienza. Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo ha sempre dimostrato affetto e solidarietà verso gli emigranti, e costantemente invita all’accoglienza, all’amore, alla pace.
Nel loro “Manifesto per l’accoglienza”, gli evangelici italiani hanno sottolineato che “la fede in Cristo ci impegna all’accoglienza nei confronti del prossimo che bussa alla nostra porta in cerca di aiuto, protezione e cure” (Federazione delle chiese evangeliche in Italia, 8 agosto 2018). A livello ecumenico europeo le Chiese protestanti, anglicane e ortodosse d’Europa, riunite nel giugno 2018 a Novi Sad (Serbia) per l’Assemblea della Conferenza delle chiese europee (KEK), hanno affermato, nel loro messaggio finale: “Noi ci impegniamo a servire Cristo nell’ospitalità reciproca, data e ricevuta, offrendo una generosa accoglienza ai rifugiati e agli stranieri”. Un impegno ecumenico che in Italia i cristiani stanno mettendo in pratica da alcuni anni, particolarmente attraverso i “corridoi umanitari” promossi da Sant’Egidio, Federazione evangelica e Tavola valdese, e quelli promossi da Conferenza episcopale e Caritas.
“L’ospitalità – concludono i cristiani di Malta – è una virtù altamente necessaria nella ricerca dell’unità tra cristiani. […] La nostra stessa unità di cristiani sarà svelata non soltanto attraverso l’ospitalità degli uni verso gli altri, pur importante, ma anche mediante l’incontro amorevole con coloro che non condividono la nostra lingua, la nostra cultura e la nostra fede.
Ci auguriamo che la Settimana di preghiera del 2020 possa rafforzare in tutti i credenti e in tutte le chiese la determinazione a vivere l’accoglienza, e preghiamo che, praticando insieme la filantropìa/filoxenìa, cresca anche la comunione fra di noi, alla gloria di Dio.
Nessun commento:
Posta un commento