All'Udienza generale, il Pontefice spiega la penultima invocazione del Padre nostro tradotta dal greco con "Non ci indurre in tentazione". "Comunque si comprenda il testo", afferma, "dobbiamo escludere che sia Dio il protagonista delle tentazioni che incombono sul cammino dell’uomo"
di Emanuela Campanile - Città del Vaticano
È la penultima invocazione del Padre Nostro "Non abbandonarci alla tentazione" il cuore della catechesi di oggi, la 14ma che Papa Francesco dedica alla preghiera insegnata da Gesù. In una Piazza San Pietro assolata e festosa, il Pontefice ha ricordato che "è con questa penultima invocazione che il nostro dialogo con il Padre celeste entra, per così dire, nel vivo del dramma" e cioè "sul terreno del confronto tra la nostra libertà e le insidie del maligno".
Il Padre non è autore del male
Ma, a questo punto, fondamentale la spiegazione di Francesco su quella traduzione che non rende in maniera esatta l'espressione greca riportata nei Vangeli:
L’espressione originale greca contenuta nei Vangeli è difficile da rendere in maniera esatta, e tutte le traduzioni moderne sono un po’ zoppicanti. Su un elemento però possiamo convergere in maniera unanime: comunque si comprenda il testo, dobbiamo escludere che sia Dio il protagonista delle tentazioni che incombono sul cammino dell’uomo.
A dimostrazione che si tratta di una interpretazione "lontana dall'immagine di Dio che Gesù ci ha rivelato", il Papa cita la Lettera di Giacomo (1,13) in cui si afferma: "Nessuno, quando è tentato, dica: 'Sono tentato da Dio'; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno".
“ Un Dio che sempre combatte per noi, non contro di noi. È il Padre! È in questo senso che noi preghiamo il Padre nostro ”
Il nostro conforto nella prova
Nella vita del Figlio di Dio, prosegue Francesco, la prova e la tentazione sono stati misteriosamente presenti:
In questa esperienza il Figlio di Dio si è fatto completamente nostro fratello, in una maniera che sfiora lo scandalo. E sono proprio questi brani evangelici a dimostrarci che le invocazioni più difficili del 'Padre nostro', quelle che chiudono il testo, sono già state esaudite:
Dio non ci ha lasciato soli, ma in Gesù Egli si manifesta come il 'Dio-con-noi' fino alle estreme conseguenze.
Il nostro conforto, dunque, risiede proprio nella presenza di Dio anche nei momenti più bui quando, invece, l'uomo non è in grado di vegliare:
Nel tempo dell’agonia, Dio chiede all’uomo di non abbandonarlo, e l’uomo invece dorme. Nel tempo in cui l’uomo conosce la sua prova, Dio invece veglia (...) Perché? Perché è Padre. Così abbiamo incominciato la preghiera: 'Padre nostro'. E un padre non abbandona i suoi figli. Quella notte di dolore di Gesù, e di lotta sono l’ultimo sigillo dell’Incarnazione: Dio scende a trovarci nei nostri abissi e nei travagli che costellano la storia. È il nostro conforto nell’ora della prova: sapere che quella valle, da quando Gesù l’ha attraversata, non è più desolata, ma è benedetta dalla presenza del Figlio di Dio.
Fiducia nell'amore del Padre
"Lui non ci abbandonerà mai!". E' questa la certezza che il Papa ricorda ad ognuno di noi, anche durante il tempo della prova e della tentazione perchè, conclude, "Cristo ha già preso su di sé anche il peso di quella croce, e ci chiama a portarla con Lui, abbandonandoci fiduciosi all’amore del Padre".
“ È con noi quando ci dà la vita, è con noi durante la vita, è con noi nella gioia, è con noi nelle prove, è con noi nelle tristezze, è con noi nelle sconfitte, quando noi pecchiamo, ma sempre è con noi, perché è Padre e non può abbandonarci ”
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