domenica 12 marzo 2017

Ecco le pecore...

Passeggiando per le colline attorno a Magrè, tra primule e qualche migliaio di persone che si godevano una giornata soleggiata e panorami primaverili, mi è capitato di imbattermi nelle pecore.
Ho scattato una foto e non ho potuto evitare di pensare alla Bibbia.


Nell’Antico Testamento
Ma perché, a Pasqua, si mangia proprio l’agnello e quali sono i significati che si nascondono dietro questo rituale? L’agnello, per la religione cristiana e ancor prima per quella ebraica, è il simbolo di sacrificio per eccellenza, e come tale più volte compare nell’Antico Testamento.

Come nel libro dell’Esodo (Esodo, 12, 1-9), quando a proposito della Pasqua ebraica Dio disse a Mosè e Aronne: “Ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa”. E poi ancora: “In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere”.

Simbolo di innocenza
Nell’area mediterranea l’agnello è considerato da sempre come il simbolo del candore e della fragilità della vita, soprattutto per le popolazioni seminomadi come quella ebraica. Con l’offerta di un agnello il credente donava a Dio ciò che aveva di più bello, puro e prezioso, come se offrisse sé stesso, in maniera non dissimile dall’ariete che Dio farà trovare ad Abramo dopo la terribile prova del sacrificio di Isacco (Genesi, 22, 1-18).

Giovanni Battista
Nel Nuovo Testamento, Giovanni Battista accoglie così Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”, prefigurandone il ruolo sacrificale per la redenzione dell’umanità. Proprio “come agnello condotto al macello”, come profetizzava Isaia (Isaia, 53,7).

La svolta
Tuttavia, nei Vangeli e nel messaggio di Gesù Cristo non c’è traccia dell’ossessione per i sacrifici rituali, così frequenti invece nell’Antico Testamento. L’Agnello era Gesù stesso. Quindi molti credenti sostengono tuttora che mangiare l’agnello a Pasqua non sia affatto una tradizione cristiana. Già durante il dibattito di Laodicea (165) sulla Pasqua, si disse che il vero sacrificio era stato compiuto con Cristo, e che quello pasquale dell’agnello propugnato dagli Ebrei convertiti non aveva ormai più senso. Una cesura sottolineata nel 2007 anche dal Papa Benedetto XVI: “Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio”.

Il passaggio
Per i cristiani scompare dunque il rito sacrificale, ma non la tradizione, il consumo e un diverso significato simbolico e teologico dell’agnello. Anche se questo viene incorporato nei rituali pasquali in una forma più blanda e “pagana” rispetto all’ebraismo, un passaggio probabilmente avvenuto sotto l’imperatore romano Costantino. La tradizione si è mantenuta viva giungendo fino a noi, in particolare nelle zone maggiormente dedite alla pastorizia come il Centro-Sud. E si è perfino evoluta in singolari agnelli dolci, come nelle Marche e a Favara (Agrigento). Ma, più in generale, cibarsi del prezioso agnello durante la Pasqua (al pari del maiale a Natale, che però non ha certo un significato teologico così marcato) era una delle poche occasioni per rimpinguarsi di carne di prima qualità. Un lusso per pochi, durante il resto dell’anno.

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