mercoledì 28 maggio 2025

Coventrizzazione

L’ultima immagine da Gaza è una piccola ombra. Una bambina, forse sui sei anni, che tenta di uscire dalla sua scuola bombardata dall’Idf. La inquadra, da lontano, una telecamera: l’operatore stringe su quella figura esile che si muove, nera contro il riverbero delle fiamme. Cammina con difficoltà, come mettendo i piedi sulle macerie. Supera una finestra, poi un’altra, poi non la si vede più. É viva, è morta? Non lo sappiamo, al momento. Forse non ne conosceremo il nome.

Questi nomi, invece, li sappiamo : Yahya, Rakan, Raslan, Gubran, Eve, Revan, Sadin, Luqman e Sidra. Erano nove bambini fra i 12 anni e i sei mesi: fratelli, figli di Alaa al-Najjar, pediatra all'ospedale Nasser di Gaza, e di suo marito, pure medico. Alaa era di turno notturno all’ospedale quando hanno cominciato ad arrivare i corpi di molti bambini carbonizzati. Quasi irriconoscibili.

Siamo entrati in un tempo in cui, sempre più spesso, ci mancano le parole. Doveva essere così, nei giorni della Seconda Guerra mondiale. Che si poteva dire delle città annientate, di Coventry sotto il fuoco tedesco, di Dresda sotto la Feuer Sturm, la tempesta di fuoco, provocata dagli Alleati?

“Coventrizzazione" è diventato una parola del vocabolario, ad indicare l’annullamento di una città. A guardare le foto di ciò che resta di Gaza, sembra si possa dire che Gaza è stata coventrizzata. E quei nove fratellini colti nel sonno, speriamo almeno, o che forse, almeno i più grandi, hanno cercato di fuggire, appartengono a una dimensione che dal ‘45 a pochi anni fa avevamo creduto irripetibile.


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