Scomodo, pungente, non incline a compromessi perchè aveva visto sul campo le conseguenze di scelte politiche sbagliate, scriveva: “Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili. A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo. Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette 'mine giocattolo', piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette. Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po’, fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi".
Mentre le agenzie rilanciavano la notizia del lutto Cecilia, la loro unica figlia, raccoglieva a bordo 85 desaparecidos del Mediterraneo. E’ in mare con la nave di soccorso “Resq” che offre l’ultimo appiglio ai dimenticati di guerre e soprusi che, come in Afghanistan, non ci vedono estranei. Come se la notizia delle morte non fosse riuscita a interrompere la concretezza di una vocazione familiare che dal 1994 a oggi ha messo radici in 19 Paesi curando oltre 11 milioni di persone. “Se l'uomo non butterà fuori dalla storia la guerra - ripeteva Gino Strada -, sarà la guerra che butterà fuori dalla storia l'uomo".
Oggi che l’Afghanistan sta per scivolare di nuovo tra le braccia dei
talebani, appare più evidente l’inefficacia del tentativo di soluzione
militare che sembra giovare solo ai venditori di armi.
Da Avvenire
Nessun commento:
Posta un commento