mercoledì 31 ottobre 2018
Ognissanti
Il mese di novembre si apre con due importanti celebrazioni, momenti per riflettere e ricordare: il primo del mese si festeggiano i Santi, mentre il giorno successivo, il 2 novembre è il momento di ricordare chi non c’è più, una giornata ricca di significati religiosi, che si fondono con antichi riti e credenze popolari.
Il giorno di Ognissanti, festività cristiana e civile, celebra la gloria e l’onore di tutti i Santi canonizzati e non ed è popolarmente considerato l‘onomastico delle persone il cui nome non compare nel calendario cristiano.
Le origini di questa Festa sono lontanissime: le commemorazioni dei martiri, comuni a diverse Chiese, cominciarono ad esser celebrate già nel IV secolo. Le prime tracce di una celebrazione generale sono attestate ad Antiochia, e fanno riferimento alla Domenica successiva alla Pentecoste. E’ infatti solo dal VII secolo che, a seguito delle richieste provenienti dal mondo monastico irlandese, Papa Gregorio II stabilì la data del 1 novembre per far coincidere la festività con l’antica festa celtica del nuovo anno, il Samhain.
lunedì 29 ottobre 2018
Guatemala: è beato il missionario martire vicentino Tullio Maruzzo
Grande giornata per la Chiesa del Guatemala (ma anche, in Italia, per
la Chiesa di Vicenza), per la beatificazione di padre Tullio Maruzzo,
missionario francescano originario, appunto, della diocesi di Vicenza, e
del laico Luis Obdulio Arroyo Navarro, assassinati il 1° luglio 1981 e
riconosciuti come martiri.
Il rito di beatificazione si è celebrato domenica 28 ottobre 2018 a Morales, nel vicariato apostolico di Izabal, presieduto dal card. Giovanni Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi.
Il vicario apostolico di Izabal, mons. Domingo Buezo Leiva, ha detto con gioia al SIR: “In mezzo ai tanti problemi del nostro Paese, questo è un giorno di festa". Il rito è stato concelebrato da quasi tutti i vescovi guatemaltechi e da altri confratelli dal Salvador, dall’Honduras, da Panama. Presente il vicario generale della diocesi di Vicenza, assieme a una delegazione dalla terra di padre Maruzzo.
Il missionario Tullio Maruzzo, frate minore francescano, naque a Lapio, frazione di Arcugnano, il 23 luglio 1929, col nome di Marcello. “Padre Tullio – afferma il vicario apostolico di Izabal – giunse in Guatemala nel 1960 e si dedicò con tutto se stesso alla missione, accompagnando la gente, fu molto vicino al popolo e in particolare ai poveri. Si attivò per la promozione umana dei campesinos, impegnandosi perché ciascuno potesse avere la sua piccola parte di terra da coltivare. Ma questa sua attività andò contro gli interessi dei grandi proprietari, in anni molto duri e difficili per il Guatemala e di persecuzione contro la Chiesa. Padre Tullio fu accusato di essere un comunista, un guerrigliero. In realtà mai incitò alla violenza, fu uomo di profonda preghiera e apparve da subito chiaro che si fosse trattato di un martirio”.
Padre Tullio, nella sua attività, veniva aiutato da un laico guatemalteco, Luis Obdulio Arroyo Navarro. “Aiutava i sacerdoti della missione nelle loro attività. E per questo ricevette minacce. La sua famiglia voleva che lasciasse quel servizio, ma lui disse che preferiva che, se doveva succedergli qualcosa, ciò accadesse mentre svolgeva un servizio per la Chiesa”. Padre Maruzzo e Luis Arroyo furono assassinati, mentre erano in auto, di ritorno da una visita a una fattoria, dove si erano incontrati dei Cursillos de Cristianidad.
Il rito di beatificazione si è celebrato domenica 28 ottobre 2018 a Morales, nel vicariato apostolico di Izabal, presieduto dal card. Giovanni Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi.
Il vicario apostolico di Izabal, mons. Domingo Buezo Leiva, ha detto con gioia al SIR: “In mezzo ai tanti problemi del nostro Paese, questo è un giorno di festa". Il rito è stato concelebrato da quasi tutti i vescovi guatemaltechi e da altri confratelli dal Salvador, dall’Honduras, da Panama. Presente il vicario generale della diocesi di Vicenza, assieme a una delegazione dalla terra di padre Maruzzo.
Il missionario Tullio Maruzzo, frate minore francescano, naque a Lapio, frazione di Arcugnano, il 23 luglio 1929, col nome di Marcello. “Padre Tullio – afferma il vicario apostolico di Izabal – giunse in Guatemala nel 1960 e si dedicò con tutto se stesso alla missione, accompagnando la gente, fu molto vicino al popolo e in particolare ai poveri. Si attivò per la promozione umana dei campesinos, impegnandosi perché ciascuno potesse avere la sua piccola parte di terra da coltivare. Ma questa sua attività andò contro gli interessi dei grandi proprietari, in anni molto duri e difficili per il Guatemala e di persecuzione contro la Chiesa. Padre Tullio fu accusato di essere un comunista, un guerrigliero. In realtà mai incitò alla violenza, fu uomo di profonda preghiera e apparve da subito chiaro che si fosse trattato di un martirio”.
Padre Tullio, nella sua attività, veniva aiutato da un laico guatemalteco, Luis Obdulio Arroyo Navarro. “Aiutava i sacerdoti della missione nelle loro attività. E per questo ricevette minacce. La sua famiglia voleva che lasciasse quel servizio, ma lui disse che preferiva che, se doveva succedergli qualcosa, ciò accadesse mentre svolgeva un servizio per la Chiesa”. Padre Maruzzo e Luis Arroyo furono assassinati, mentre erano in auto, di ritorno da una visita a una fattoria, dove si erano incontrati dei Cursillos de Cristianidad.
venerdì 26 ottobre 2018
domenica 14 ottobre 2018
7 nuovi santi per la Chiesa
Papà Francesco é arrivato in piazza San Pietro con il pastorale Paolo VI è il cingolo Romero
Il Santo Padre impugnando la croce astile di Paolo VI e indossando le sue vesti liturgiche, con però il cingolo macchiato di sangue di monsignor Oscar Arnulfo Romero macchiato del suo sangue il giorno dell'uccisione, ha fatto ingresso in piazza San Pietro attraversando la Basilica di San Pietro fino a raggiungere il sagrato dove avevano già preso posto i 267 padri sinodali concelebranti e le delegazioni ufficiali tra cui quella italiana guidata da Mattarella e quella spagnola guidata dalla Regina Madre Sofia, ma ci sono anche i presidente di El Salvador, Cile e Panama e il ministro degli esteri francesi.
Papa Paolo VI è stato colui che ha portato a compimento il Concilio Vaticano II e ha guidato la Chiesa negli anni in cui le Brigate Rosse uccidevano Aldo Moro. Per Paolo VI la politica era una tra le più alte forme di carità, se esercitata come servizio al bene comune. Per alcuni è stato un pontefice dai toni dimessi, ma ha compiuto gesti eloquenti come quando nel 1964, dopo pochi mesi di pontificato, annuunciò che avrebbe venduto la tiara e che il ricavato della vendita sarebbe stato donato in beneficenza. Egli sosteneva che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri».
Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, non era un uomo che cercava notorietà, ma si trovò al centro di un conflitto civile violentissimo, e scelse di farsi portavoce istituzionale e autorevole dei poveri senza voce che venivano torturati e uccisi per motivi di stato. La sua voce ferma contro la violenza fratricida non prendeva le mosse da motivazioni ideologiche, nè difendeva posizioni di parte, come qualcuno poi volle insinuare. Venne ucciso sull'altare, mentre compiva un appello evangelico alla pace e alla riconciliazione fraterna: “Desidero fare un appello speciale agli uomini dell’esercito e in concreto alla base della Guardia nazionale, della stessa polizia, delle caserme. Fratelli! Siete del nostro stesso popolo! Ammazzate i vostri fratelli campesinos! Davanti all’ordine di ammazzare dato da un uomo, deve prevalere la legge di Dio che dice: “Non ammazzare!”. Nessuno è tenuto ad obbedire ad un ordine che va contro la legge di Dio … vi supplico, vi chiedo, vi ordino, in nome di Dio: cessi la repressione!”.
Sono le sue ultime parole pronunciate in pubblico, prima dell’omelia di quella messa dove con un solo proiettile un sicario lo fa tacere.
Le sue parole però non hanno mai cessato di risuonare nella memoria del suo popolo salvadoregno e oggi in tutto il mondo.
Il Santo Padre impugnando la croce astile di Paolo VI e indossando le sue vesti liturgiche, con però il cingolo macchiato di sangue di monsignor Oscar Arnulfo Romero macchiato del suo sangue il giorno dell'uccisione, ha fatto ingresso in piazza San Pietro attraversando la Basilica di San Pietro fino a raggiungere il sagrato dove avevano già preso posto i 267 padri sinodali concelebranti e le delegazioni ufficiali tra cui quella italiana guidata da Mattarella e quella spagnola guidata dalla Regina Madre Sofia, ma ci sono anche i presidente di El Salvador, Cile e Panama e il ministro degli esteri francesi.
Papa Paolo VI è stato colui che ha portato a compimento il Concilio Vaticano II e ha guidato la Chiesa negli anni in cui le Brigate Rosse uccidevano Aldo Moro. Per Paolo VI la politica era una tra le più alte forme di carità, se esercitata come servizio al bene comune. Per alcuni è stato un pontefice dai toni dimessi, ma ha compiuto gesti eloquenti come quando nel 1964, dopo pochi mesi di pontificato, annuunciò che avrebbe venduto la tiara e che il ricavato della vendita sarebbe stato donato in beneficenza. Egli sosteneva che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri».
Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, non era un uomo che cercava notorietà, ma si trovò al centro di un conflitto civile violentissimo, e scelse di farsi portavoce istituzionale e autorevole dei poveri senza voce che venivano torturati e uccisi per motivi di stato. La sua voce ferma contro la violenza fratricida non prendeva le mosse da motivazioni ideologiche, nè difendeva posizioni di parte, come qualcuno poi volle insinuare. Venne ucciso sull'altare, mentre compiva un appello evangelico alla pace e alla riconciliazione fraterna: “Desidero fare un appello speciale agli uomini dell’esercito e in concreto alla base della Guardia nazionale, della stessa polizia, delle caserme. Fratelli! Siete del nostro stesso popolo! Ammazzate i vostri fratelli campesinos! Davanti all’ordine di ammazzare dato da un uomo, deve prevalere la legge di Dio che dice: “Non ammazzare!”. Nessuno è tenuto ad obbedire ad un ordine che va contro la legge di Dio … vi supplico, vi chiedo, vi ordino, in nome di Dio: cessi la repressione!”.
Sono le sue ultime parole pronunciate in pubblico, prima dell’omelia di quella messa dove con un solo proiettile un sicario lo fa tacere.
Le sue parole però non hanno mai cessato di risuonare nella memoria del suo popolo salvadoregno e oggi in tutto il mondo.
domenica 7 ottobre 2018
Rimettiamoci in cammino sulla via della pace
Smettiamo di fare le guerre! Quelle armate che stanno devastando interi paesi e popolazioni, ma anche quelle più subdole che ci vedono continuamente gli uni contro gli altri, nell’economia come nei rapporti interpersonali.
Cerchiamo assieme le soluzioni dei problemi che non sono state trovate e intraprendiamo, sin da ora, nuove iniziative per attuarle.
Investiamo sui giovani, rispettiamoli, prendiamoci cura del loro presente e futuro, attrezziamoli a fare la propria parte, diamogli adeguate opportunità.
Facciamo crescere l’economia della fraternità! Cominciamo dai luoghi in cui viviamo, cercando nuove strade per combattere la povertà e la disoccupazione, costruendo nuovi rapporti sociali, economici e personali centrati sulla cura reciproca.
Scopriamo insieme l’importanza e la bellezza della cura. La cura di noi e non solo dell’io. La cura reciproca. La cura della vita. La cura dei più indifesi. La cura del bene comune. La cura del mondo che condividiamo con gli altri.
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