Il film di Martin Scorsese sui martiri giapponesi lascia in effetti senza parole.
Devo dire che questo film ha una forza innegabile. Sconvolge per le scene di violenza, turba per l'atteggiamento meticolosamente sadico e subdolo dei persecutori, tocca per la fragilità dei protagonisti. Eppure da metà film in poi sentivo che mancava qualcosa di importante. Il "perchè".
Che cosa spinge un missionario a rischiare la vita e dei contadini ad accettare di morire piuttosto che rinnegare la propria fede? Mancava il "quid". Forse per il paraiso?
Forse il regista ha preferito evitare di inoltrarsi in questo tema per fermarsi prima. Che cos'è l'uomo e chi è Deus? Dio può chiedere il sacrificio dell'uomo?
Ecco allora che nella scena clou è Gesù stesso a chiedere al padre gesuita di calpestarlo. Per salvare delle vite umane. Di fronte all'irragionevolezza umana la coerenza non sembra più una virtù.
E' decisamente una teologia apofatica, in cui Dio si ritrae, si nasconde. Perchè? Perchè quando l'uomo pensa di poter dire troppo su Dio ne fa un idolo, una ideologia che schiaccia e distrugge.
Nella prima parte del film i missionari distribuiscono immagini, croci e grani del rosario. Nella seconda collaborano a riconoscere e ad eliminare i segni cristiani importati abusivamente dai commercianti stranieri.
Si sente proprio la voce del nazionalismo, la difficoltà di entrare in dialogo e di riconoscere l'altro, tipico della nostra epoca. Se non c'è che una verità - la mia - , se tu non puoi venire ad insegnarmi niente, allora, o diventi come me (nome, vestito, usanze, famiglia), o muori. C'è anche questa paura dell'altro, del diverso da me che diventa una minaccia da respingere tra le chiavi del film.
Nel finale una piccola luce quando la moglie del padre apostata mette nel barile del marito morto che sta per essere cremato un piccolo crocefisso donatogli da un diacono martirizzato. Una fede rimasta accesa nonostante l'annichilimento di ogni segno di appartenenza esteriore?
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