sabato 5 ottobre 2019
Sinodo per l'Amazzonia
Un nuovo appuntamento sinodale attende la Chiesa: l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica, dal titolo «Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale».
«L’Amazzonia è una regione con una ricca biodiversità; è multietnica, pluriculturale e plurireligiosa, uno specchio di tutta l’umanità che, a difesa della vita, esige cambiamenti strutturali e personali di tutti gli esseri umani, degli Stati e della Chiesa» (DP, Introduzione). Essa oggi sperimenta «una profonda crisi causata da una prolungata ingerenza umana, in cui predomina una “cultura dello scarto” e una mentalità estrattivista».
Al tempo stesso le riflessioni del Sinodo, che non a caso si svolgerà in Vaticano e vedrà tra i suoi membri anche rappresentanti di Paesi e Chiese molto lontani dall’Amazzonia, «superano l’ambito strettamente ecclesiale amazzonico, protendendosi verso la Chiesa universale e anche verso il futuro di tutto il pianeta» (ivi). Per questa ragione occuparci del Sinodo per l’Amazzonia non è una fuga esotica dai nostri problemi locali, comunque non trascurabili.
Quale rilevanza ha questo Sinodo per noi “non amazzonici”?
Soprattutto va compreso il percorso e la fecondità anche per il nostro contesto.
Connessioni tra globale e locale
Questo Sinodo è un esperimento, il primo probabilmente, di articolazione tra la dimensione locale e quella globale all’interno del paradigma dell’ecologia integrale. Proprio l’articolazione tra globale e locale è la chiave interpretativa principale per comprendere lo sviluppo di questo percorso sinodale e capire come parteciparvi autenticamente, seppur con modalità differenziate. Tutti abbiamo da imparare che cosa significa affrontare problemi peculiari di un territorio con un metodo sinodale. Esso ci chiede la disponibilità all’ascolto profondo sia di una prospettiva sul mondo a cui non siamo abituati, con la fatica e la ricchezza che questo comporta, sia delle richieste pressanti che l’Amazzonia rivolge al resto del pianeta per superare la crisi che l’attanaglia, a vantaggio di tutti.
Un soggetto originale: il bioma amazzonico
Un primo passo indispensabile per seguire il Sinodo è mettere a fuoco la complessità dell’Amazzonia, le caratteristiche che la rendono per molti versi un unicum. Si tratta di un territorio enorme (21 volte l’Italia), suddiviso tra 9 Paesi. Tra gli abitanti di questo immenso territorio vi sono quasi 3 milioni di indigeni. Del tutto peculiare è anche l’importanza dell’Amazzonia dal punto di vista ambientale: è la principale riserva di biodiversità, ospitando tra il 30% e il 50% delle specie viventi del pianeta. Contiene inoltre circa il 20% dell’acqua dolce non congelata di tutta la superficie terrestre, e svolge un ruolo di polmone climatico per l’intera America latina e non solo.
Il termine scelto dai documenti sinodali per esprimere questa identità complessa, geografica, antropica e ambientale, è bioma, cioè una porzione ampia di biosfera caratterizzata da una certa vegetazione o fauna dominante. È questa realtà a chiederci lo sforzo di aumentare il numero delle prospettive con cui l’avviciniamo. Rinunciare a farlo provoca, come insegna l’enciclica Laudato si’, l’incapacità di mettere a fuoco tutte le dimensioni di un problema e preclude la possibilità di trovare soluzioni davvero efficaci. Questo vale anche a livello ecclesiale: è decisamente innovativo dedicare un Sinodo speciale a un territorio che non corrisponde a un insieme di Conferenze episcopali.
Per noi “non amazzonici” questo diventa un invito a rimettere in discussione confini, prospettive e categorie a cui facciamo usualmente ricorso per caratterizzare un territorio e analizzarne le problematiche, in quanto insufficienti a rendere ragione della realtà.
Un tesoro di saggezza
Prima che «prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause», offrire soluzioni o ancor peggio imporre loro la nostra agenda e i nostri problemi, siamo chiamati «ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangelii gaudium, n. 198.
Questa “cosmovisione” e lo stile di vita che ne consegue è spesso indicata con l’espressione buen vivir. Si tratta di un modo di vivere che fa riferimento non a una dottrina compiuta, ma a pratiche di creazione, di relazione tra le persone e i gruppi attraverso il legame con il territori.
«Si tratta di vivere in “armonia con sé stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l’essere supremo, perché esiste un’intercomunicazione tra tutto il cosmo, dove non esiste chi esclude né chi è escluso, e che tra tutti si possa forgiare un progetto di vita piena”». Buen vivir è questione di contemplazione, rispetto e cura del bioma di cui si è parte con «effetti sulla salute, sulla convivenza, sull’educazione e sulla coltivazione della terra, il rapporto vivo con la natura e la “Madre Terra”, la capacità di resistenza e resilienza delle donne in particolare, i riti e le espressioni religiose, i rapporti con gli antenati, l’atteggiamento contemplativo e il senso di gratuità, di celebrazione e di festa e il senso sacro del territorio»
Per noi occidentali è fondamentale ascoltare queste parole sgomberando la nostra mente da molti retaggi che ci condizionano. Le culture amazzoniche sono tutt’altro: una civiltà articolata e viva, che da secoli si confronta con la sfida della modernità e della colonizzazione.
L’importante resta rispettare la loro autonomia nel definire i parametri e le componenti del buen vivir, senza applicare indicatori di povertà, benessere o sviluppo che a loro risultano estranei e probabilmente incomprensibili.
Si apre qui un interrogativo radicale sulla definizione di “vita buona” alla base del nostro modello di progresso. Per poter accogliere questa provocazione salutare, abbiamo bisogno di liberarci da stereotipi e pregiudizi che non ci consentono di prendere sul serio questi popoli e di entrare con loro in un dialogo autentico, sgombro da qualsiasi paternalismo. Come riconosce il n. 111 dell’IL, il problema riguarda anche la Chiesa: «A volte c’è la tendenza a imporre una cultura estranea all’Amazzonia che ci impedisce di comprendere i suoi popoli e di apprezzare le loro cosmovisioni», tanto che alcune critiche radicali rivolte alla Chiesa sostengono che nessun progetto di evangelizzazione sia scevro dalla prospettiva coloniale.
Per noi “non amazzonici” questo significa abituarci a vedere la realtà da più punti di vista e accettare di essere messi in discussione da quelli degli altri per esserne stimolati e a nostra volta stimolarli.
Strade nuove
Il titolo del Sinodo ne indica anche l’obiettivo: «nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale». «Nuovo» va inteso qui nel senso radicale che il termine assume nell’enciclica Laudato sii’ quando parla di conversione ecologica, affermando che è indispensabile «allargare nuovamente lo sguardo» se vogliamo costruire un progresso «più sano, più umano, più sociale e più integrale» (n. 112)
Il termine «cammini» scelto per il titolo del Sinodo ci suggerisce un’immagine della sfida che ci attende, quella delle vie di comunicazione, uno dei punti critici per l’Amazzonia. Vedremo come l’Assemblea sinodale e il processo che ne scaturirà riusciranno concretamente a tracciare questi “nuovi cammini”, nella consapevolezza che «dare forma a una Chiesa dal volto amazzonico ha una dimensione ecclesiale, sociale, ecologica e pastorale, spesso conflittuale» (
Perché essa possa continuare a esistere con il suo volto, ha bisogno che il resto del mondo le lasci lo spazio per farlo. È questa una responsabilità che ci coinvolge in quanto consumatori, investitori, cittadini ed elettori, facendo appello alla creatività di tutti in vista della costruzione di alternative autenticamente sostenibili. Mentre ci impegniamo in questa direzione, potremo anche lasciarci ispirare dal suo invito alla creatività e dal suo esempio di inclusione di una pluralità di prospettive.
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