venerdì 2 marzo 2018

Mosè, il Profeta che parlava cn Dio... nella tradizione islamica

Corso di agg.to sull’Islam 2 marzo 2018 introdotto dal prof. Luca Lucatello, IdR.


La figura di Mosè è, senza alcun dubbio, una delle più belle ed affascinanti della Scrittura Sacra. Non per nulla il popolo d’Israele proprio ad essa àncora la sua nascita, il suo sorgere alla luce come popolo che si affida nella libertà a YHWH. Ma è proprio la conclusione della Torà, nell’ultimo capitolo del Deuteronomio, agli ultimi versetti, che ci consente di capire ancora di più la sua importanza. Così sta scritto: “Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, che il Signore conosceva faccia a faccia, per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nella terra d’Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutta la sua terra, e per la mano potente e il terrore grande con cui Mosè aveva operato davanti agli occhi di tutto Israele” (Dt 34,10-12). Come a dire… d’ora in poi tutto il resto sarà commento di questa storia, e soprattutto di questa profezia (e, non a caso, il canone ebraico, a differenza di quello cristiano, è discendente e non ascendente… “parte col botto!” — si potrebbe dire — ossia nel canone ebraico tutto quello che viene dopo la Torà è commento stesso della Torà). Parole grosse quelle del libro di Devarìm… appunto, il “libro delle parole”… parole che suonano come una sorta di epitaffio inciso sulla tomba di Mosè: questo non è un profeta qualsiasi, ma è il più grande di tutti i profeti d’Israele! E di tale grandezza è prova la ferma ed ininterrotta convinzione che, per chiunque appartenga a quel popolo, la salvezza passi attraverso l’osservanza della legge data a Mosè… la Torà di cui egli è mediatore… Profeta, nella storia delle religioni, e in particolare nelle tradizioni monoteiste, è infatti “colui che porta una parola/un messaggio per conto di Dio” (è colui che vive la missione del pro-femì, del parlare a nome di qualcuno… in questo caso l’Altissimo, l’Uno e Unico…). Ma Mosè non si accontenta di parlare a nome di Colui che gli aveva garantito “Non avere paura, Io sarò con te perché Io sono colui che è e che sempre sarà a fianco del Suo popolo (’ehyeh ’ašer ’ehyeh suona in ebraico)… No, lui si mette addirittura a parlare con Dio, come fanno due amici… ed è la Scrittura stessa che, facendoci vedere la luce del suo volto, ce ne spiega il motivo con queste parole: “Quando Mosè scese dal monte Sinai — le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte — non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui” (Es 34,30). Dunque non c’è da stupirsi, data la sua grandezza, che Mosè sia citato nel Libro Sacro dell’Islam in un numero considerevole di ayāt, di versetti (letteralmente di “segni”… un po’ come il numero di segni che Mosè operò davanti al Faraone per mostrare la potenza di Dio!). Sarà compito dell’imam Mohsen Khochtali raccontarci come il Corano ci presenta la figura di questo nabī e rasūl di Allāh, ossia di questo profeta e messaggero dell’Unico Dio… 


Io con voi vorrei, però, fare ancora un’ultima riflessione. Siamo in un incontro di dialogo tra Cristianesimo e Islam. Allora mi sono chiesto: quale potrebbe essere un trait d’union, ossia un punto di contatto, un legame vitale che possiamo riconoscere ed attestare, a partire dal testo biblico (e non da aleatorie considerazioni!), tra lo “sguardo” cristiano e quello “musulmano” su Mosè? Mi pare di averlo trovato in una delle espressioni che Dio rivolge a Mosè quando, nella scena di vocazione del capitolo terzo dell’Esodo, gli affida il compito di liberare il Suo popolo. Ad un certo punto lo rassicura ancora una volta e gli dice che ci sarà un segno: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte» (Es 3,12). Qui il testo della Scrittura Sacra utilizza il verbo ebraico abad, che significa “servire”, sia nel senso di mettersi a servizio con dedizione totale, con obbedienza e fedeltà, sia nel senso di prestare il culto come servizio a Dio. E con queste parole Dio mostra a Mosè il vero “esodo” che il popolo dovrà compiere: quello dalla schiavitù al servizio (come recita anche il titolo del bel commentario di Georges Auzou sull’Esodo1). In questo caso il testo riferisce, con ogni probabilità, il verbo abad al culto che gli Israeliti dovranno rendere a Dio sul monte Oreb come ringraziamento per la liberazione… ma tale culto non diviene forse espressione simbolica della grande sfida insita nella nostra vita (quella di “servire” Dio attraverso l’amore per i fratelli)? Non per niente Gesù chiede ai suoi discepoli di farsi servi (cfr. Mc 10,43-45) e reinterpreta la sua morte per amore alla luce della figura del “servo di YHWH” del profeta Isaia. E, allora, ecco il trait d’union, il legame simbolico fortissimo con la Parola “altra” dell’Islam: non è forse vero, infatti, che l’identità ultima ed intima di ogni muslīm, ossia di colui che si affida totalmente a Dio, è quella di essere Suo “servo” (abd) e di trovare la massima libertà proprio nel vivere il servizio (sia come culto e preghiera davanti a Dio sia come sollecitudine amorosa verso i fratelli)? Mi pare, quindi, che proprio in questo trait d’union cristiani e musulmani possono riconoscere un’unione spirituale fortissima che si esprime quotidianamente in una duplice consapevolezza condivisa: la prima è che il culto non si può separare dalla vita, ma che servire Dio nella verità significa mantenere la loro unità; la seconda è che servire è amare e amare è servire. 

Imam Mohsen Khochtali, imam di Verona, membor dell'UCOII

Musa figlio di Himran (Mûsâ ibn 'Imran)
Già dal secondo capitolo del Corano si parla di Israele e di Mosè. La giovenca, 286 versetti. Dalla creazione di Adamo, Califfo di Dio sulla terra.
O figli di Israele, ricordate i favori che ho dato per voi. 
Lungo il Corano, 114 capitoli, la storia più raccontata è quella di Mosè. Sono circa 40 episodi che vanno dalla nascita di Mosè alla sula morte.
È uno dei 5 messaggeri che hanno lottato molto: Noè, Abramo, Mosè, Gesù, Muhammad.
Come sono entrati i figli d'Israele in Egitto? 
I due luoghi più santi per l'Islam sono la Mecca e Gerusalemme. 
Abramo ha avuto due figli: Isacco e Ismaele che si è stabilito alla Mecca.
La storia di Giuseppe che viene mandato in Egitto (cap. 12). Giuseppe che sogna le stelle che si prostrano a lui. Giuseppe che viene venduto ai mercanti e diventa schiavo in Egitto. 
Giuseppe, figlio perfetto d'Israele, attira le attenzioni della moglie di Potifar e finisce in prigione. Ma Dio lo riscatta e gli da la possibilità di governare sull'Egitto.
Le conseguenze di ciò che si fa di bene o male arrivano sempre. Gli israeliti hanno ricevuto i loro profeti per camminare nella legge di Dio, ma non hanno servito facendo la sua volontà. Perciò finiscono schiavi degli egiziani.
Quando il popolo è uscito di strada, Dio, nella sua misericordia, ha mandato Musa, il profeta per riscattarlo.
Noi volevamo consolidare sulla terra gli oppressi. Dio interviene nella storia per salvare coloro che sono aggrediti. Gli uomini di fede non possono accettare le ingiustizie, ma devono prodigarsi per far giustizia. 
La legge morale prevede di intervenire per ripristinare la giustizia. Il Faraone schiacciava il popolo, uccideva gli uomini e salvava le donne per servirlo.
Quando nasce Aronne il Faraone non ha ucciso i maschi, ma quando nasce Musa Dio dice alla madre di buttarlo nel fiume, perché Dio ha fatto in modo che la moglie del Faraone fosse mossa a pietà. "Ho buttato un amore nei tuoi confronti in modo che tu fossi cresciuto nel mio insegnamento". Mosè, lontano dalla sua famiglia, cresciuto in mezzo ai miscredenti, grazie ad un intervento divino, per mezzo della sorella viene adottato. Mosè bambino non voleva essere allattato da seni egiziani, perciò torna dalla madre e viene educato nel modo corretto.
Mosè, cresciuto, vede come sono trattati i figli di Israele e reagisce d'istinto uccidendo una guardia. Riconosce subito l'errore e chiede perdono a Dio.
Qualche giorno dopo, Mosè vede lo stesso ebreo che aveva aiutato che discute con un altro ebreo e interviene rimproverandolo. L'altro minaccia di far sapere a tutti ciò che ha fatto e lui deve scappare. 
A Madian, in Giordania, trova due donne vicino al pozzo che non possono far bere il proprio bestiame perché devono aspettare che prima bevano gli animali di altri allevatori. Allora Mosè le aiuta e fa bere gli animali. 
Il padre delle ragazze lo ospita come persona forte ed affidabile, e intende ringraziarlo. È un buon custode e propone di sposare una figlia in cambio di 8 pellegrinaggi (hajj) di lavoro al suo servizio.
Mosè, generosamente, ha fatto 10 hajj di lavoro.
Musa al monte Tur vede un fuoco e pensa di prenderlo per portarlo alla sua famiglia.
Ma quando si avvicina viene chiamato. Dio gli chiede di lasciare il suo bastone, di avvicinarsi, di infilare la sua mano nel suo petto e di ritirarla bianca.
"O Mosè, io sono il tuo Signore. Levati i sandali e ascolta ciò che ti sta per essere rivelato. L'ora è imminente. Ogni anima sta per essere compensata per l'opera sua".
Dio da un segno della sua presenza. Dio ha parlato al genere umano, a Mosè, ad Adamo, a me, che sono importante in questo mondo, non per essere superbo, non per l'istruzione, per i soldi, per la famiglia. Sono importante perché sono servo di Dio.
Satan, creatura di Dio fatto col fuoco, non vuole prostrarsi. L'uomo, fatto di terra, si prostra. Satana non ascolta chi gli ha dato l'ordine e guarda il contenuto, non il contenitore. Guarda che l'uomo è di terra e che lui è di fuoco.
Gli esseri umani sono tutti uguali, al di là delle caratteristiche fisiche e dei difetti personali. Non ho colpe per i miei famigliari, per la mia Costituzione. L'uomo vale per ciò che ha dentro. 
Non ci sono privilegi gli uni sugli altri. "In verità o uomini vi abbiamo creati maschi e femmine e divisi in tribù perché vi conosciate a vicenda". Non si dice che l'uomo sia migliore della donna o che una tribù sia migliore di un'altra.
Ciascuno di noi, maschio o femmina, ha dei privilegi. L'uomo deve far l'uomo e la donna deve fare la donna. Per conoscersi e completarsi a vicenda.
Davanti al fuoco divino viene dato l'incarico di salvare il popolo e la rivelazione di Dio.
Mosè che ha parlato la lingua ebraica e la lingua del Faraone e ora vive a Madian, ha qualche difficoltà nella lingua e trova aiuto nel fratello Aronne, il quale diventa pure profeta.
Mosè ha un bastone di legno che ha un grande significato. Colpirà le acque e il mare si aprirà. Il Faraone ha avuto segni e tempo per convertirsi, ma capirà che c'è un solo Dio e che lui stesso doveva obbedirgli, solo quando le acque si chiuderanno.
Il tiranno trama, fa le sue strategie, ma poi fa una brutta fine.

La figura di Muhammad si richiama a quella di Musa in quanto lotta contro il politeismo del Faraone come il profeta lottava contro il politeismo della Mecca.
Mosè esce dall'Egitto per andare verso la terra promessa, così come il Profeta va a Medina. Musa riceve la Legge di Dio e da origine al popolo, così come il Profeta che riceve il Corano.
La storia dei profeti si assomigliano. Cambiano i luoghi, i protagonisti, le espressioni, ma le storie sono molto simili. Tra i miscredenti (kefer) e i credenti non ci deve essere conflitto. Questa terra Dio l'ha dedicata agli uomini e nessuna persona deve essere condannata. 
Il kefer nasconde la verità, ma si può vivere insieme, come fece Muhammad nella Costituzione di Medina. Gli abitanti di Medina sono Umma, malgrado le loro diversità. Si può vivere insieme tra credenti e miscredenti.
Il Faraone è stato punito per la sua ingiustizia, non per la sua miscredenza. Musa gli ha chiesto di lasciare libero il popolo e lui ha confidato in se stesso più che nella richiesta di Dio.
Il popolo stesso ha pellegrinato per 40 anni prima di entrare nella terra benedetta e promessa. Una generazione nata e vissuta sotto la dittatura del Faraone deve passare per lasciare spazio ad una generazione più coraggiosa e tenace.
In ogni periodo gli uomini hanno tendenze egoistiche e incredulità, per questo le storie sono simili. 
Le storie dei profeti non sono storie divertenti: Giona, Abramo, Mosè, sono figure importanti che testimoniano la vera sequela.

Mosè, sul monte digiuna per 30 giorni, che poi diventano 40. Mosè ha parlato con Dio ma vorrebbe vederlo. L'amore per Dio è una esperienza totalizzante, estatica, di desiderio profondo. Dio però non può essere visto e gli da un segno della Montagna che si sbriciola. Noi non vediamo Dio in questa vita, ma lo vedremo nell'aldilà.
Con la preparazione del digiuno di 40 giorni e altri segni, Mosè riceve le tavole.
"Tu non mi vedrai, ma guarda il monte. Se resta fermo tu mi vedrai. 
Ma quando Dio si rivelò al monte esso si polverizzò e Mosè preso da paura chiese perdono. 

Che cosa lega insieme Islam e Cristianesimo?
Se i cristiani vivono nella carità verso il prossimo, trova nell'Islam un compagno.
Il cristianesimo "religione dell'amore" trova nell'islam la religione della Misericordia.

Anche i musulmani non conoscono bene la propria religione. Alcuni conoscono il Corano e la religione, ma non sanno come viverla nel modo corretto.
Se al di là di essere dei cristiani (nazareni)  o musulmani, ci riconosciamo vicini, non superbi, disposti ad accogliere il messaggio fatto scendere sui messaggeri di Dio, allora le lacrime possono scendere e il linguaggio degli occhi è significativo.
O Signore, abbiamo creduto in te, perdona le nostre colpe e iscriviti con gli amici degli uomini. 
Nella storia ci sono stati buoni esempi di convivenza tra musulmani e cristiani.

Leggere: 
Sura 18 (La grotta) incontro tra Musa e il servo di Dio al confluire di due mari. Una figura particolare, ripresa dai Sufi come l'uomo verdeggiante, ispirazione sul rapporto tra profezia e mistica.
Sura 19, 51-53 ricorda Mosè e il fratello Aronne, dato per lui come dono della Misericordia di Dio.
Sura 3 La religione presso Dio è l'Islam (pace, integrazione e salvezza). Rispondendo alla chiamata di Dio l'uomo trova pace, integrità e salvezza.
Mosè, discendente di Abramo, è servo di Dio per realizzare il progetto di Dio.

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