La Giornata mondiale dei poveri, che si celebra per la prima volta il
19 novembre, è stata istituita da Papa Francesco al termine del Giubileo
della misericordia, nella lettera apostolica “Misericordia et misera”.
Una provocazione etica da sempre presente nella Chiesa
Clemente di Alessandria fu il primo in una sua
omelia – Quale ricco si salverà? – ad affrontare questo rapporto non in
termini ideologici, ma di fede. Povertà e
ricchezza non sono entità valutabili moralmente, ma sono i ricchi e i
poveri con la loro vita ad avere valenza morale. E usa parole fortissime
contro i ricchi che, divenuti cristiani, nascondono i loro beni per non
darli ai poveri. Li definisce “seme di Caino, discepolo del
diavolo. Non ha il cuore di Dio, non ha la speranza di cose più grandi; è
sterile, è secco; non è un tralcio della vigna celeste che vive in
eterno”.
Clemente ha la convinzione evangelica che non è il povero “che ha
ricevuto l’ordine di ricevere, bensì sei tu [il ricco] che hai avuto
quello di dare”.
Basilio Magno
critica una certa pietà distorta fatta di digiuni e sacrifici fini a se
stessi e non rivolti al povero. Un pensiero che sembra ancora oggi molto
attuale: “So di molti che digiunano, che recitano preghiere, che gemono
e sospirano, che praticano ogni forma di pietà che non supponga spesa,
ma che non sganciano un soldo per i bisognosi. A che servirà poi tutta
questa pietà? Non per questo li si ammetterà nel regno dei cieli!”.
Ambrogio di Milano vedeva nell’aiuto al povero una vera opera di misericordia e
di giustizia: “La misericordia è parte della giustizia. Questo
significa che se tu, animato da misericordia, intendi dare ai poveri,
ebbene, agendo così, non fai più di quanto non richieda la giustizia,
secondo quanto dice la Scrittura: ‘Distribuì, diede ai poveri; la sua
giustizia rimane per sempre’ (cfr. Sal 111,9)”.
Tommaso D’Aquino: “Cristo scelse per sé genitori
poveri e tuttavia perfetti nella virtù, affinché nessuno si glori della
sola nobiltà del sangue e delle ricchezze dei genitori. Condusse vita
povera per insegnare a disprezzare le ricchezze. Visse in semplicità,
senza ostentazione, allo scopo di tenere lontani gli uomini dalla
disordinata brama degli onori. Sostenne la fatica, la fame, la sete e le
afflizioni del corpo, affinché gli uomini proclivi alle voluttà e
delicatezze, a motivo delle asprezze di questa vita, non si sottraessero
all’esercizio della virtù”.