venerdì 21 novembre 2025

Nigeria, oltre duecento studenti rapiti in una scuola cattolica

Nella notte tra giovedì e venerdì, la Nigeria è sprofondata ancora una volta nell’incubo. Un commando armato ha fatto irruzione alla St. Mary School di Papiri, nello Stato del Niger, portando via più di duecento studenti e membri del personale. Una scena che, purtroppo, si ripete con angosciante regolarità: nel mirino, ancora una scuola, ancora dei bambini.Secondo la diocesi di Kontagora, gli assalitori – arrivati su decine di auto e motociclette – hanno invaso il complesso scolastico fra le due e le tre del mattino, seminando il panico e lasciando a terra un uomo della sicurezza, gravemente ferito. Dopo il blitz, il gruppo si è dileguato nelle aree forestali circostanti, dove operano bande armate dedite ai sequestri a scopo di riscatto.Il bilancio, per ora, è incerto: alcune fonti parlano di 52 studenti, altre di oltre 200 persone rapite. Ma il dato è chiaro: la violenza si sta diffondendo in modo incontrollato. Solo negli ultimi giorni si contano altri attacchi in diverse regioni del Paese: 25 studentesse musulmane rapite in Kebbi, 64 civili prelevati dalle loro case in Zamfara, e l’assalto a una chiesa pentecostale nello Stato di Kwara, con due fedeli uccisi e 38 sequestrati.Dietro questi eventi non si intravede soltanto il fanatismo religioso, ma anche una forma di criminalità organizzata che sfrutta il caos per ottenere denaro. In molte zone rurali della Nigeria, le scuole e i luoghi di culto rappresentano obiettivi vulnerabili, facili prede per bande armate che operano al confine tra jihadismo e opportunismo economico.La portata della crisi è enorme: secondo il centro di ricerca Acled, dall’inizio del 2025 si sono registrati quasi duemila attacchi contro civili, con più di tremila vittime. Le autorità locali e l’esercito faticano a contenere una spirale che intreccia violenza settaria, corruzione, povertà e fragilità statali.Il presidente Bola Tinubu ha annullato la sua visita al vertice del G20 a Johannesburg per affrontare l’emergenza. Dall’Italia, la premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani hanno espresso condanna e solidarietà, chiedendo al governo nigeriano maggiore protezione per le comunità cristiane e per tutte le minoranze religiose vittime di persecuzioni e rapimenti.La Nigeria conta 230 milioni di abitanti e oltre 200 gruppi etnici: un mosaico fragile, in cui la convivenza tra nord musulmano e sud cristiano è continuamente messa alla prova. Mentre le famiglie dei bambini di Papiri attendono notizie, il mondo resta a guardare con crescente angoscia. Per molti, la domanda più dura è sempre la stessa: quanto ancora durerà questo silenzioso martirio?

Leggi da Avvenire

sabato 15 novembre 2025

Il cinema laboratorio di speranza e linguaggio universale

https://www.vaticannews.va/content/dam/vaticannews/agenzie/images/srv/2025/11/15/2025-11-15-incontro-con-il-mondo-del-cinema/1763203611554.JPG/_jcr_content/renditions/cq5dam.thumbnail.cropped.500.281.jpeg 

Il 15 novembre 2025, nella suggestiva Sala Clementina, Papa Leone XIV ha accolto il mondo del cinema con parole cariche di stima, spiritualità e futuro. Il Pontefice ha ricordato la magia intrinseca di questa “arte giovane, sognatrice e un po’ irrequieta”, nata per tutti e capace di parlare a ciascuno. In 130 anni, il cinema è passato dal gioco di luci e ombre alla narrazione profonda dell’avventura umana, diventando palestra di emozioni e speranze.

Papa Leone ha sottolineato il ruolo del cinema come arte che aiuta a riscoprire la complessità della vita e invita lo spettatore a tornare in sé stesso, educando lo sguardo e la sensibilità. La sala cinematografica per lui è una soglia che si attraversa per “accendere lo sguardo dell’anima”, dove anche il dolore può trovare un senso.

Parole forti anche sul valore sociale dei cinema e dei teatri, “cuori pulsanti dei nostri territori” minacciati da crisi e cambiamenti tecnologici. Papa Leone invita istituzioni e artisti a non scoraggiarsi: difendere la lentezza, il silenzio, la differenza, senza piegarsi alle logiche degli algoritmi che ripetono ciò che “funziona”, perché il cinema autentico non consola soltanto, ma interpella e chiama per nome le grandi domande di senso.

Nel clima del Giubileo, il cinema diventa un pellegrinaggio dell’immaginazione, un viaggio che misura la strada in immagini, parole, emozioni e memorie condivise. I registi e gli artisti, “artigiani della speranza”, sono incoraggiati a raccogliere il mistero e la bellezza anche nelle pieghe del dolore e a essere testimoni di verità con coraggio, affrontando le ferite del mondo senza paura di indagare la fragilità umana.

Papa Leone ricorda che l’opera cinematografica è corale: ogni film nasce dalla collaborazione, dalla passione e dai talenti di tanti professionisti spesso invisibili al grande pubblico. Solo insieme, in spirito di fraternità e scambio, si costruisce “una casa per chi cerca senso, un linguaggio di pace”.

Il suo augurio: il cinema continui a stupire e a illuminare la speranza, testimoniando la bellezza che salva e il mistero di Dio anche negli angoli bui dell’esistenza, in un pellegrinaggio creativo che è, oggi più che mai, anche cammino spirituale.

«Che il vostro cinema resti sempre un luogo d’incontro, una casa per chi cerca senso, un linguaggio di pace… possiate essere artigiani della speranza» 

giovedì 13 novembre 2025

COP 30 in Brasile: la voce potente delle popolazioni tribali

 

Quest’anno la Conferenza ONU sul clima in Brasile ha segnato un vero spartiacque: mai prima d’ora la partecipazione delle popolazioni indigene è stata così numerosa e visibile! Oltre 3.000 rappresentanti da più di cento popoli hanno animato Belém, danzando, cantando, manifestando e portando nei corridoi della COP la forza della foresta, delle culture ancestrali e una richiesta chiara: ascoltate la nostra saggezza, proteggete la Terra che è la nostra casa comune.

Messaggi chiave delle tribù in prima linea:

 “La nostra terra non è in vendita” gridavano i Munduruku, mentre il grande capo Raoni Kaiapó ricordava: “Le foreste devono restare vive: senza ombra e aria non possiamo respirare!”.

Sônia Guajajara, ministra per i Popoli Indigeni, ha ribadito come la difesa dell’Amazzonia e della biodiversità sia una missione che riguarda tutti: “Le popolazioni indigene sono le prime a preservare la foresta. La giustizia climatica nasce dalla loro saggezza e resistenza”.

Txai Surui, giovane leader amazzonica, ha lanciato un appello: “Non vogliamo più promesse, ma cambiamenti concreti. Basta passi indietro: la COP in Amazzonia deve essere il momento in cui la voce dei guardiani della foresta diventa azione”.

Non sono mancati momenti di tensione, con proteste, sit-in e vere e proprie marce da parte degli indigeni, che hanno ottenuto finalmente spazi di dialogo con i leader internazionali – seppur non senza polemiche sull’effettiva inclusione nei negoziati ufficiali.

Perché questa partecipazione è storica?

Per la prima volta, oltre 1.000 indigeni hanno avuto accesso diretto ai negoziati ufficiali (zona blu) della COP. I loro messaggi sono diventati il volto della conferenza, chiedendo la fine dei combustibili fossili, l’implementazione reale degli impegni climatici e il rispetto dei diritti dei popoli originari. Le maracas, i canti e le danze tribali hanno reso la COP non solo un vertice politico, ma una festa di identità, memoria e richieste di giustizia climatica.

Le comunità tribali e indigene hanno dimostrato che difendere la Terra è difendere la vita e che la loro presenza non è folkloristica, ma fa la differenza tra promesse e cambiamenti veri. Il futuro del pianeta passa da chi lo vive, lo custodisce e lo difende ogni giorno, con la forza della tradizione e la voce della foresta.

Ascoltare gli indigeni è ascoltare il futuro. Il loro messaggio è chiarissimo: non possiamo mangiare i soldi, possiamo solo vivere se la Terra resta viva!

mercoledì 12 novembre 2025

Monasteri: luoghi di spiritualità sempre più solitari

C’è un’Italia silenziosa che si sta spegnendo: è quella dei monasteri. Luoghi di preghiera, di studio e di lavoro che per secoli hanno alimentato la civiltà europea, oggi lottano per sopravvivere tra crisi di vocazioni, spese insostenibili e edifici troppo grandi per comunità sempre più esigue.

Secondo il rapporto “Vincoli in rete” del Ministero della Cultura, in Italia ci sono 861 monasteri, ma la maggioranza rischia l’abbandono. Un’analisi dell’Università di Bologna stimava già nel 2019 che il 60% delle comunità monastiche femminili sarebbe scomparso entro dieci anni. I numeri più recenti dell’Annuario statistico della Chiesa confermano il trend: solo nel 2025 l’Europa ha perso oltre settemila religiose, e quelle rimaste hanno un’età media così alta da rendere difficile la gestione ordinaria dei conventi.

Il declino ha molte cause: l’individualismo crescente, la perdita di senso comunitario e di fiducia nella fede, l’isolamento culturale in cui talvolta i monasteri sono caduti. Tuttavia, la posta in gioco va ben oltre l’aspetto religioso. Come ricordano gli storici, i monasteri furono culle di arte, agricoltura, architettura e cultura. Nelle loro biblioteche si salvarono i testi classici, nei loro campi nacquero sistemi agricoli avanzati, nei loro chiostri si formarono artisti e scienziati. Attorno ai centri monastici sorsero città, ospedali, scuole e persino università.

Oggi, però, molti di quei luoghi vengono riconvertiti in hotel o location per matrimoni. La Certosa di Pavia, capolavoro rinascimentale, è ormai solo un sito turistico; altri monasteri vengono comprati da privati o trasformati in centri eventi. Papa Francesco già nel 2013 aveva denunciato questa deriva, auspicando che i monasteri vuoti diventassero “luoghi di solidarietà, non alberghi di lusso”. In altri paesi europei, invece, si sperimentano vie più creative: in Svizzera e nei Paesi Bassi alcuni complessi monastici ospitano biblioteche, campus universitari o residenze per giovani, mantenendo viva la loro vocazione di custodi della conoscenza e della comunità.

Non mancano progetti simili anche in Italia: a Sant’Angelo in Pontano, nelle Marche, e a Lucca, dove il monastero di Vicopelago sarà destinato all’housing sociale. Ma sono ancora eccezioni. Secondo la Carta del Rischio del Ministero della Cultura, oltre duemila edifici religiosi necessitano di urgenti interventi di conservazione.

Il rischio è che, con la scomparsa delle comunità monastiche, si estingua anche un modo di vivere e pensare l’uomo: quello che lega fede e lavoro, silenzio e studio, preghiera e bellezza. La povertà monastica non fu mai miseria, ma libertà da ciò che distrae dall’essenziale; il chiostro non era chiusura, ma apertura al mistero e al tempo. Recuperare questo spirito – anche in forme nuove, laiche o condivise – potrebbe rappresentare una risposta preziosa alla crisi spirituale e sociale del presente.

I monasteri sono ancora lì, con i loro cortili di pietra e le cupole sprofondate nel cielo. Chiedono di essere abitati non solo da chi rinuncia al mondo, ma da chi vuole continuare a cercare senso dentro di esso.

venerdì 7 novembre 2025

Domenica 9 novembre la Giornata del Ringraziamento

Si terrà domenica 9 novembre la 75ª Giornata Nazionale del Ringraziamento che quest’anno ha per tema “Giubileo, rigenerazione della terra e speranza per l’umanità”. 
In occasione di questo tradizionale appuntamento, la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro ha preparato un Messaggio che mette in relazione il riposo dell’uomo con quello della terra. Il Giubileo è la ripresa di un tempo sabbatico per vivere in pienezza le relazioni e rimanda al riposo della terra come gesto di fede, a testimoniare la provvidenziale presenza di Dio nella storia, e all’istanza di giustizia sociale, che non può condannare il povero alla schiavitù e allo sfruttamento. Il riposo della terra rappresenta un gesto di speranza contro le logiche usuraie. È un tempo ‘altro’, dedicato alle relazioni e al recupero del progetto di Dio sulle creature.

Un passo storico verso l’unità dei cristiani in Europa

Con “un passo storico verso l’unità dei Cristiani”, la versione aggiornata della Charta Œcumenica è stata presentata il 5 novembre a Roma nella Chiesa del martirio di San Paolo presso l’Abbazia delle Tre Fontane a Roma, dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e dalla Conferenza delle Chiese europee (Cec). Frutto di “un lungo e meticoloso processo di revisione iniziato nel 2022”, “questo documento congiunto – scrivono i due organismi europei in un comunicato – segna una tappa fondamentale nel cammino ecumenico delle Chiese europee, rinnovando il loro impegno a camminare insieme nel dialogo, nella comprensione reciproca e nella testimonianza condivisa in risposta alle sfide del nostro tempo”. La Charta aggiornata è stata firmata dall’Arcivescovo Nikitas di Thyateira e Gran Bretagna, presidente del Cec, e da mons. Gintaras Grušas, Arcivescovo di Vilnius e presidente del Ccee. Insieme, hanno rinnovato “il loro impegno a costruire ponti tra le Chiese in Europa”.

Leggi tutto da Agensir

mercoledì 5 novembre 2025

Appello per la pace in Myammar

Il Myanmar, con una popolazione di circa 57 milioni di abitanti nel 2025, è un paese segnato da una profonda crisi politica e umanitaria conseguente al colpo di Stato militare del febbraio 2021. La crescita naturale della popolazione è ancora positiva, anche se negli ultimi anni la migrazione netta è negativa, con un esodo di persone che cerca rifugio altrove.

La crisi nasce dal rovesciamento del governo democraticamente eletto della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), guidata da Aung San Suu Kyi, con l'imposizione di una dura giunta militare (Tatmadaw) che ha giustificato il golpe con accuse di frodi elettorali, mai dimostrate. Da allora, il paese è scivolato in una guerra civile senza sosta, con scontri tra l'esercito e vari gruppi di resistenza armata, provocando almeno 1,5 milioni di sfollati interni e un numero crescente di rifugiati nei paesi vicini.

Negli ultimi mesi, la violenza si è intensificata, con battaglie decisive in zone strategiche come lo Shan e il Nord del paese. La situazione umanitaria è disperata: milioni di persone necessitano di assistenza, scuole, ospedali e infrastrutture sono distrutti, la sicurezza è precaria e la popolazione soffre per fame, malattie e repressione.

In questo contesto, il Papa Leone XIV ha lanciato un accorato appello per un cessate il fuoco immediato e un dialogo inclusivo che ponga fine alle ostilità. La sua vicinanza spirituale è rivolta alle vittime della guerra, agli sfollati e a tutti coloro che subiscono la violenza e la precarietà. Già nel 2017, Papa Francesco aveva visitato il Myanmar, esprimendo solidarietà soprattutto alla minoranza Rohingya, vittima di pulizia etnica.

La Chiesa cattolica in Myanmar, presente soprattutto nelle zone del nord a maggioranza cristiana come il Kachin, svolge un ruolo fondamentale nell’aiuto umanitario. Le comunità cattoliche, insieme a quelle battiste, sono tra i principali fornitori di supporto alle persone sfollate internamente, offrendo rifugi sicuri, assistenza medica e servizi di base laddove lo Stato non arriva. Grazie alla loro posizione di neutralità e alla fiducia guadagnata in decenni di presenza, la Chiesa riesce a operare anche nelle aree controllate da forze ribelli, senza distinzione religiosa o etnica.

Infine, la rete ecclesiale si impegna anche nei paesi limitrofi, aiutando i profughi provenienti dal Myanmar con programmi di accoglienza e assistenza, lavorando in sinergia con organizzazioni internazionali e ONG per alleviare la sofferenza di chi è costretto a fuggire dalla dittatura militare.