lunedì 15 dicembre 2025

Dolore per la strage di Hannukah in Australia

Durante la celebrazione di Hannukah in una comunità ebraica australiana, la gioia si è trasformata in tragedia. Un padre e figlio hanno aperto il fuoco contro i presenti, togliendo la vita a un rabbino, a un sopravvissuto alla Shoah, a una bambina e ad altri lì riuniti con le loro famiglie.
In un istante, un momento di festa e di luce si è fatto buio e silenzio, lasciando una ferita profonda non solo nella comunità colpita, ma nell’intera coscienza umana.

Sparare a caso in una celebrazione religiosa significa colpire il cuore stesso della convivenza. È un gesto abominevole, che nega il valore della vita e profana il senso del sacro. Ogni fede, ogni rito, ogni assemblea di preghiera dovrebbe poter esistere nella pace e nella fiducia reciproca, senza il terrore di una violenza cieca e insensata.

Gli episodi di odio e di antisemitismo che attraversano il mondo, dall’Europa fino all’Australia, rappresentano una sconfitta per tutti. Non è solo la comunità ebraica a soffrire: è l’umanità intera che arretra, che si smarrisce lungo la via del dialogo e della solidarietà. Ogni volta che il fanatismo si traduce in un colpo di arma, la civiltà perde una voce, un volto, una storia.

Ricordare le vittime significa difendere il diritto di ogni popolo e di ogni credo a vivere nella libertà e nel rispetto. Hannukah è la festa della luce che vince sull’oscurità: oggi più che mai, il mondo ha bisogno di quella luce per non lasciarsi travolgere dall’odio.

domenica 14 dicembre 2025

Giubileo dei detenuti

Papa Leone XIV ha tenuto oggi un discorso toccante sulla crisi delle carceri italiane, enfatizzando l'urgenza di salvare ogni vita trasformando questi istituti da luoghi di mera punizione in spazi di redenzione e speranza.

Il Pontefice ha rivolto parole profetiche agli operatori della giustizia durante il Giubileo in Piazza San Pietro, richiamando i valori evangelici di misericordia e dignità umana. Ha denunciato come il sistema penitenziario italiano stia fallendo nel suo compito rieducativo, esortando a un cambio di paradigma urgente per prevenire tragedie evitabili.

Suicidi e fragilità umane
Papa Leone XIV ha citato l'allarmante tasso di suicidi, con statistiche che indicano un caso ogni tre giorni, spesso tra detenuti prossimi alla scarcerazione o in attesa di giudizio. Molti casi derivano da disperazione legata a contesti degradati, aggravati da autolesionismo e violenza interna.

Carenze di personale
Il discorso ha evidenziato la grave mancanza di psicologi ed educatori: la legge prevede uno psichiatra ogni 300 detenuti, ma la realtà è lontana, con oltre 200 persone affette da problemi mentali senza adeguato supporto. Questa lacuna amplifica involuzioni psichiatriche nate dal degrado strutturale.

Sovraffollamento e lavoro
Con 62.355 presenze contro 51.308 posti regolamentari, il sovraffollamento umilia detenuti e operatori, sotto organico e in condizioni estreme. Papa Leone XIV ha insistito sull'inserimento in attività lavorative – come laboratori e progetti esterni – per ridare speranza, criticando come poche strutture siano accessibili nonostante le potenzialità.

sabato 13 dicembre 2025

Santa Lucia: la festa della luce che viaggia da Siracusa alla Svezia

Quando arriva dicembre e le giornate si accorciano, una piccola fiammella illumina la notte più lunga dell’anno: è Santa Lucia, la “portatrice di luce”, celebrata il 13 dicembre in molte parti d’Europa con usanze antiche e sempre vive.

A Verona, la tradizione vuole che nella notte tra il 12 e il 13 dicembre la santa, insieme al suo asinello, porti doni e dolcetti ai bambini buoni. La città si anima con il Mercatino di Santa Lucia in Piazza Bra, dove bancarelle di dolci, giocattoli e oggetti artigianali riempiono l’aria di profumi e colori. Non mancano le “pastefrolle di Lucia” e le canzoncine dedicate alla santa, simbolo di speranza nelle lunghe notti d’inverno.

Ma Santa Lucia non è solo veneta. In Svezia, la sua festa è una delle più luminose dell’anno. All’alba del 13 dicembre, giovani ragazze indossano lunghe vesti bianche e corone di candele accese nei capelli, guidando processioni e cori che celebrano il ritorno della luce nel periodo più buio. Il canto tradizionale – dedicato a Lucia di Siracusa – crea un’atmosfera magica, quasi sospesa tra fede e poesia nordica.

In Sicilia, terra d’origine della santa, il 13 dicembre è occasione di fede e tradizione popolare: a Siracusa, una grande processione accompagna la statua argentea di Lucia dalla cattedrale al mare, ricordo del suo martirio nel 304 d.C. Qui si mangia la cuccìa, un dolce di grano bollito con crema di ricotta o cioccolato, simbolo di rinascita e gratitudine.

In altre zone del Nord Italia, come Brescia e Bergamo, Santa Lucia resta la protagonista dei doni ai bambini, una sorta di “pre-anteprima” del Natale. È lei, non Babbo Natale, a portare i regali: un gesto che mette al centro la luce interiore, più che l’abbondanza materiale.

Da Verona a Stoccolma, da Siracusa alle Alpi, questa festa parla un linguaggio universale: quello della luce che vince il buio, della bontà che si rinnova, e della speranza che una candela può portare anche nella stagione più fredda.

venerdì 12 dicembre 2025

Dare un senso alle tradizioni

La Diocesi interviene con un comunicato stampa dopo il caso dell’eliminazione del riferimento a Gesù in una canzone natalizia avvenuto in una scuola reggiana

La scelta di eliminare ogni riferimento a Gesù in una nota canzone natalizia può essere classificata come un “cortocircuito”, visto che la scuola di Reggio Emilia che ha promosso l’iniziativa porta il nome di “San Giovanni Bosco”, il santo italiano educatore per eccellenza.
Siamo dispiaciuti e addolorati se questa è la strada imboccata dalla scuola pubblica del nostro Paese.

Ne aveva parlato l’Arcivescovo Giacomo Morandi nell’omelia in occasione del Patrono San Prospero il 24 novembre scorso: “L’esperienza e la vita cristiana sono una realtà essenziale della nostra identità sociale e pubblica che non si può e non si deve cancellare, quasi costituisse un potenziale impedimento all’incontro con coloro che provengono da altri contesti culturali e religiosi. L’identità non è un ostacolo al dialogo, al contrario ne è una condizione ed una premessa indispensabile.

Reggio Emilia, da questo punto di vista, ha imparato ad essere una città accogliente, attraversando periodi storici travagliati come quelli dell’immediato dopo guerra, dove le diversità sociali e politiche hanno avuto anche risvolti drammatici e dolorosi. L’accoglienza che abbiamo imparato non può ridimensionare o impoverire la nostra tradizione.

Anzi, mentre rispettiamo chi viene da altre esperienze culturali e religiose, chiediamo di potere condividere e custodire – direi con una certa e sana gelosia – i nostri doni, la nostra tradizione cristiana, i nostri simboli che tanto hanno contribuito alla costruzione della nostra città, del nostro paese Italia e dell’intero continente europeo, che ha nelle radici cristiane una delle sue componenti identitarie fondamentali.

Tra i simboli più amati dal nostro popolo c’è il Presepio, il cui iniziatore fu proprio San Francesco, patrono d’Italia e infaticabile costruttore di pace”.

Papa Leone XIV di recente ha poi affermato: “La storia dell’educazione cattolica è storia dello Spirito all’opera. Chiesa «madre e maestra» non per supremazia, ma per servizio. Gli stili educativi che si sono succeduti mostrano una visione dell’uomo come immagine di Dio, chiamata alla verità e al bene, e un pluralismo di metodi al servizio di questa chiamata. I carismi educativi non sono formule rigide: sono risposte originali ai bisogni di ogni epoca”.

E così ha proseguito: “Orienta il cammino il Patto Educativo Globale. Con gratitudine raccolgo questa eredità profetica affidataci da Papa Francesco. È un invito a fare alleanza e rete per educare alla fraternità universale.

I suoi sette percorsi restano la nostra base: porre al centro la persona; ascoltare bambini e giovani; promuovere la dignità e la piena partecipazione delle donne; riconoscere la famiglia come prima educatrice; aprirsi all’accoglienza e all’inclusione; rinnovare l’economia e la politica al servizio dell’uomo; custodire la casa comune.

Queste ‘stelle’ hanno ispirato scuole, università e comunità educanti nel mondo, generando processi concreti di umanizzazione” (Lettera Apostolica “Disegnare nuove mappe di speranza” di Papa Leone XIV in occasione del LX anniversario della Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis, 28 ottobre 2025).

giovedì 11 dicembre 2025

Pietro e il racconto travolgente di Roberto Benigni

C’è qualcosa di unico nel vedere Roberto Benigni parlare in Vaticano: la sua parola, sempre in bilico tra poesia e sorriso, riesce a trasformare anche la teologia in un viaggio di emozioni e immagini. Questa volta, il protagonista non è un personaggio inventato — ma Pietro, l’uomo nel vento.  

Benigni lo racconta come un pescatore della Galilea che parte verso Roma, spinto solo dalla fede in un uomo che ha visto risorgere. Una figura fragile, piena di paure e contraddizioni, ma capace di trasformare la propria debolezza in missione. Il suo non è un eroe senza macchia: è uno che cade, rinnega, eppure ama fino alla croce — rovesciata, per umiltà.  

Il monologo attraversa i secoli: dalle ossa ritrovate da un’archeologa sotto il Vaticano al mare di Tiberiade, fino alle strade di Roma, dove un pugno di cristiani sfidava l’Impero con l’idea inaudita che tutti, uomini e donne, fossero uguali. Proprio questo, ricorda Benigni, faceva paura: la libertà del cuore, il ribaltamento delle gerarchie sociali e morali.  

Nel suo racconto incalzante, Pietro non è una statua ma un compagno di viaggio. È l’uomo che si lascia portare dal vento della fede, che inciampa e si rialza, che guarda Gesù e osa camminare sulle acque. È il simbolo di un’umanità che non si arrende al proprio limite, ma lo trasforma in testimonianza.  

E così, tra Roma e la Palestina, tra le lacrime e le risate, Benigni restituisce alla nostra epoca un Pietro più vivo che mai: non un santo irraggiungibile, ma un uomo che ha avuto il coraggio di credere. 

martedì 9 dicembre 2025

Dibattito riacceso dall'opera di Mancuso

Verso un “neo-cristianesimo? La sfida di Vito Mancuso e la risposta di Giuseppe Savagnone

Il recente libro di Vito Mancuso, Gesù e Cristo (Garzanti, 2025), ha riacceso un vecchio ma sempre attuale dibattito: chi è veramente Gesù di Nazareth e chi è Cristo, il Figlio di Dio della fede? Due nomi per la stessa persona o due realtà profondamente diverse?  

Giuseppe Savagnone, in un articolo su Settimana News, prende spunto dalle tesi del teologo milanese per porsi una domanda che attraversa la teologia contemporanea: è possibile un cristianesimo senza il Cristo della fede, un nuovo “neo-cristianesimo” fondato sull’etica invece che sulla redenzione?

Gesù storico e Cristo della fede
Per Mancuso, la famosa "e" del titolo — Gesù e Cristo — non unisce, ma distingue. Da un lato c’è Gesù, l’ebreo di Nazareth, profeta apocalittico e predicatore del Regno; dall’altro Cristo, figura elaborata dalla fede dei discepoli, figlio unigenito di Dio, fondamento della religione cristiana.  

La sua proposta teologica mira a riconciliare la coscienza moderna, sempre più lontana dalle categorie dogmatiche tradizionali, con un cristianesimo “accettabile”, fondato sulla “salvezza etica”: non più la croce come sacrificio redentivo, ma la vita buona come via di liberazione. In questa visione, Gesù è il testimone di una “logica eterna” dell’amore e della giustizia universale, che attraversa tutte le religioni e le culture spirituali dell’umanità.

Il rischio della dissoluzione
Savagnone, tuttavia, coglie in questa prospettiva un punto problematico. Eliminare la divinità di Gesù – e più ancora la trascendenza di Dio – significa svuotare il cristianesimo della sua novità radicale: l’annuncio che Dio stesso è entrato nella storia, si è fatto uomo, ed ha offerto la propria vita per la redenzione dell’umanità.  

Senza questa “scandalosa” incarnazione, quello di Mancuso rischia di essere un umanesimo spirituale più che un cristianesimo. Gesù finirebbe per essere accostato ai grandi maestri religiosi come Buddha o Confucio, in cui si manifesta una divinità impersonale, diffusa, “qualcosa” più che “Qualcuno”.

Il post-teismo come sfondo
A questa linea si collega anche il cosiddetto post-teismo, rappresentato da autori come Paolo Gamberini, che propongono di superare la separazione tra Dio e mondo. Se il mondo è “da Dio” ed è un’espressione della sua stessa essenza, l’incarnazione non avviene solo in Gesù ma in tutto il creato. In questa visione cosmica, Cristo non è più un evento unico, ma il simbolo dell’unità tra il divino e l’umano.  

Savagnone riconosce la generosità di queste ricerche teologiche, animate dal desiderio di rendere viva e attuale la fede nell’epoca della secolarizzazione. Ma si chiede se, una volta tolta la distanza tra Dio e il mondo, resti ancora spazio per il cristianesimo come buona notizia di un Dio che ama liberamente, sceglie di farsi uomo e dona se stesso.

La rivoluzione dell’Incarnazione
Il nodo, per Savagnone, è tutto qui: ciò che ha sempre reso il Vangelo radicale e sorprendente è l’annuncio che l’Infinito si è fatto finito, che il Figlio di Dio ha condiviso fino in fondo la sorte dell’uomo, attraversando anche la morte.  

Un “neo-cristianesimo” che rinunci a questo mistero per renderlo più accettabile ai gusti moderni otterrebbe forse un messaggio più rassicurante, ma al prezzo di perdere la forza rivoluzionaria che duemila anni fa ha sconvolto il mondo — e che continua ancora oggi a interpellare ogni coscienza.

domenica 7 dicembre 2025

L’Immacolata – una bellezza che salva

L'8 dicembre, è una delle feste più amate in Italia: l’Immacolata Concezione di Maria.
Ma cosa celebriamo davvero?

Nel 1854 Papa Pio IX dichiarò che Maria, fin dal primo istante della sua vita, è stata libera dal peccato originale. Non per magia, ma per un amore “in anticipo”: Dio, sapendo che Gesù sarebbe nato da lei, la rese pura e luminosa fin dall’inizio. 

Da allora, ogni Papa ha guardato a Maria come a una luce nel cammino dell’umanità.  
- Giovanni XXIII la chiamava “la stella del mattino” che disperde le tenebre.  
- Paolo VI la vedeva come “il mistero della perfezione”.  
- Giovanni Paolo II ricordava che Gesù stesso è stato “generoso” con sua Madre, donandole la grazia.  
- Benedetto XVI parlava di lei come del “riflesso della Bellezza che salva il mondo”.  
- E Papa Francesco ogni anno le portava un “grazie”, come fa un figlio con la madre che lo accompagna ogni giorno. 

Il gesto tradizionale del Papa che depone fiori ai piedi della statua dell’Immacolata a Piazza di Spagna non è solo una cerimonia: è un segno di affetto, di fiducia, di gratitudine.

Maria, in fondo, ci dice che ogni vita può essere piena di luce, se lasciamo spazio alla grazia e al bene.  
Non è lontana, non è una figura da museo: è una ragazza che ha detto “sì”, e che continua a camminare accanto a noi, senza rumore, ma con una forza che trasforma.

Davanti a una piccola immagine o semplicemente nel cuore, possiamo dire anche noi:  
“Grazie, Maria, per aver creduto nel sogno di Dio su di noi.”