giovedì 25 dicembre 2025

L'augurio ecumenico delle chiese di Milano

Carissime sorelle e carissimi fratelli,
care cittadine e cari cittadini di Milano,

il Natale arriva come una luce inarrestabile di speranza che filtra attraverso le turbolenze di un tempo pieno di incertezze. Sebbene il mondo continui a misurarsi con tensioni che speravamo superate, ma che ritornano come ombre dal passato, da Betlemme giunge una grande luce che illumina l’intera umanità.

Nascosta dietro le quinte della storia si fa strada una giovinetta rivestita di Cielo; nel suo grembo custodisce una nuova vita fragile e minacciata, che i disegni malvagi e tutto il potere di Erode non possono spegnere.

Maria è il coraggio della Fede, della Speranza e dell’Amore che prende forma. Con Giuseppe condivide il coraggio di chi accoglie la vita senza avere tutte le risposte; di chi, affidandosi completamente a Dio, attraversa l’incertezza del presente e del futuro, senza pretendere di controllarli. È un coraggio che parla dei bambini e delle bambine che crescono in condizioni di disagio, di uomini e donne che, custodendo la speranza, guidano comunità e famiglie, spingendoci ad affrontare senza paura le piccole e grandi avversità che anche nella nostra bella città ci insidiano. Nelle figure di Maria e Giuseppe inginocchiati davanti al bambino, ciascuna e ciascuno di noi può trovare una testimonianza semplice di persone come noi, che hanno accolto come un seme la parola della fede che le ha rese strumenti fecondi e beati.

La contemplazione del Bambino che sta crescendo tra le macerie di un mondo tutto da ricostruire ci offre una via semplice e profonda: vedere nella sua fragilità una rivoluzione di pace. È una presenza disarmata che non impone, ma invita; non divide, ma unisce. Guardarlo insieme significa riconoscere che l’unità non è un sogno irraggiungibile, ma può nascere proprio da ciò che ascoltiamo nel silenzio del cuore, che gridiamo sui tetti, quale annuncio coraggioso di conversione al mondo nuovo secondo Dio.

«Eccoti». Possiamo dire queste parole perché Gesù nasce ed è presente. Dal Suo «Eccomi» fiorisce il nostro «Eccomi!», che diventa risposta personale e comunitaria a un Tu che ci precede. È un «Eccomi!» che trasforma la vita, perché genera fiducia, responsabilità e desiderio di costruire.

Forse i nostri doni e il nostro impegno non saranno sufficienti a portare la Pace di Cristo a Milano e al mondo intero, ma siamo chiamati e chiamate a mettere insieme piccoli frammenti di pace. Una “pace a pezzi”, ma reale: fatta di passi quotidiani, di ascolto reciproco, di scelte che custodiscano l’umanità del piccolo di Betlemme, di Sua madre e di ognuno e ognuna di noi. Un cammino possibile per chiunque.

A ciascuno e ciascuna auguriamo un buon Natale.

Chiese: Anglicana, Apostolica Armena, Avventista del Settimo Giorno, Cattolica Ambrosiana, Copta, Cristiana Protestante, Luterana-Riformata, Esercito della Salvezza, Evangeliche Battiste, Evangelica Metodista, Evangelica Valdese, Luterana Svedese, Ortodossa Bulgara, Ortodossa Eritrea, Ortodossa Etiope, Ortodossa del Patriarcato della Georgia, Ortodossa Greca, Ortodossa Romena, Ortodossa Russa, Ortodossa Serba

domenica 21 dicembre 2025

"Io sono Carlo" un chatbot con le memorie di Carlo Acutis

Un chatbot che “parla” con la voce e le parole di Carlo Acutis è una notizia forte, affascinante e un po’ spiazzante, soprattutto per chi è cresciuto tra social, IA generativa e memorie digitali. È un esperimento che unisce fede, tecnologia e psicologia, e che apre domande serie su come viviamo il rapporto con i santi, con i morti e con i dati che lasciamo online.

Che cosa è “Io sono Carlo”
“Io sono Carlo” è un chatbot creato dall’Università di Padova, in collaborazione con il supplemento “la Lettura” del Corriere della Sera, per simulare un’intervista al giovane santo Carlo Acutis. Non è un “Carlo che risorge”, ma un modello di intelligenza artificiale addestrato su una base limitata di testi: i libri scritti dalla madre Antonia Salzano e i documenti ufficiali del Dicastero delle Cause dei Santi.

- Il chatbot usa una piattaforma accademica chiamata Lucrez-IA, costruita su Claude (modello di Anthropic), che lavora in un ambiente chiuso e conforme al GDPR europeo.
- Il linguaggio è stato impostato per essere colloquiale, diretto, “da ragazzo”, in linea con l’immagine di Carlo come patrono dell’era digitale.

Non è un “Carlo 2.0”
È importante essere chiari: questo chatbot non è Carlo, ma una sua ricostruzione probabilistica a partire da ciò che altri hanno scritto di lui. Gli mancano diari personali, mail, messaggi vocali, chat con gli amici: tutto ciò che serve per un vero “griefbot”, cioè un avatar pensato per far parlare un defunto come se fosse vivo.

- Proprio per questo, durante i test ha commesso errori: per esempio ha detto che in Paradiso con lui ci sono i nonni, ma quasi tutti sono ancora in vita, e non ricordava il suo libro preferito, “Il piccolo principe”.
- Spesso ripete frasi standard, come se recitasse un copione: più la memoria di un’immagine di santità che la persona concreta con le sue sfumature.

Emozioni, fede e rischio di illusioni
Il progetto nasce dentro una ricerca su “memoria digitale e narrazione del sacro”, guidata dalla psicologa e filosofa Ines Testoni, che studia gli effetti psicologici degli avatar dei defunti. I griefbot, in generale, possono avere una funzione consolatoria, ma toccano zone molto delicate: lutto, aspettative, dipendenza emotiva.

- Nel caso di Carlo, c’è un doppio livello di intensità: la dimensione affettiva (un ragazzo morto a 15 anni, molto amato) e quella religiosa (un santo legato all’Eucaristia, chiamato “patrono di internet”).
- Un chatbot che “parla come un santo” può generare proiezioni, cioè far credere a qualcuno di entrare in contatto con una presenza reale, quando si tratta invece di un algoritmo che rielabora testi.

Cosa ci dice di noi e del nostro modo di ricordare
Questo esperimento rivela molto più su di noi che su Carlo. Il chatbot è costruito su una “narrazione della madre” e su documenti ufficiali: ciò che emergerebbe parlando con lui è lo sguardo di chi lo ha amato e della Chiesa, non la voce integrale di Carlo.

- Il progetto ci costringe a chiederci che cosa sarà, tra vent’anni, la nostra memoria: post, video, note vocali, chat, storie salvate… tutto potenzialmente materiale per futuri avatar.
- Allo stesso tempo mostra che la tecnologia non è neutra: se unisco fede e IA in una “scatola chiusa” che non capisco, rischio di attribuirle un’aura di mistero quasi mistica.

L'immagine è la copertina di “Digital Disciple: Carlo Acutis and the Eucharist”, il fumetto edito da Voyage Comics e dall’Augustine Institute, che racconta la storia del giovane esperto di computer che creò un sito web per mostrare al mondo i miracoli eucaristici.

lunedì 15 dicembre 2025

Dolore per la strage di Hannukah in Australia

Durante la celebrazione di Hannukah in una comunità ebraica australiana, la gioia si è trasformata in tragedia. Un padre e figlio hanno aperto il fuoco contro i presenti, togliendo la vita a due rabbini, a un sopravvissuto alla Shoah, a una bambina e ad altri lì riuniti con le loro famiglie.
In un istante, un momento di festa e di luce si è fatto buio e silenzio, lasciando una ferita profonda non solo nella comunità colpita, ma nell’intera coscienza umana.

Sparare a caso in una celebrazione religiosa significa colpire il cuore stesso della convivenza. È un gesto abominevole, che nega il valore della vita e profana il senso del sacro. Ogni fede, ogni rito, ogni assemblea di preghiera dovrebbe poter esistere nella pace e nella fiducia reciproca, senza il terrore di una violenza cieca e insensata.

Gli episodi di odio e di antisemitismo che attraversano il mondo, dall’Europa fino all’Australia, rappresentano una sconfitta per tutti. Non è solo la comunità ebraica a soffrire: è l’umanità intera che arretra, che si smarrisce lungo la via del dialogo e della solidarietà. Ogni volta che il fanatismo si traduce in un colpo di arma, la civiltà perde una voce, un volto, una storia.

Ricordare le vittime significa difendere il diritto di ogni popolo e di ogni credo a vivere nella libertà e nel rispetto. Hannukah è la festa della luce che vince sull’oscurità: oggi più che mai, il mondo ha bisogno di quella luce per non lasciarsi travolgere dall’odio.

domenica 14 dicembre 2025

Giubileo dei detenuti

Papa Leone XIV ha tenuto oggi un discorso toccante sulla crisi delle carceri italiane, enfatizzando l'urgenza di salvare ogni vita trasformando questi istituti da luoghi di mera punizione in spazi di redenzione e speranza.

Il Pontefice ha rivolto parole profetiche agli operatori della giustizia durante il Giubileo in Piazza San Pietro, richiamando i valori evangelici di misericordia e dignità umana. Ha denunciato come il sistema penitenziario italiano stia fallendo nel suo compito rieducativo, esortando a un cambio di paradigma urgente per prevenire tragedie evitabili.

Suicidi e fragilità umane
Papa Leone XIV ha citato l'allarmante tasso di suicidi, con statistiche che indicano un caso ogni tre giorni, spesso tra detenuti prossimi alla scarcerazione o in attesa di giudizio. Molti casi derivano da disperazione legata a contesti degradati, aggravati da autolesionismo e violenza interna.

Carenze di personale
Il discorso ha evidenziato la grave mancanza di psicologi ed educatori: la legge prevede uno psichiatra ogni 300 detenuti, ma la realtà è lontana, con oltre 200 persone affette da problemi mentali senza adeguato supporto. Questa lacuna amplifica involuzioni psichiatriche nate dal degrado strutturale.

Sovraffollamento e lavoro
Con 62.355 presenze contro 51.308 posti regolamentari, il sovraffollamento umilia detenuti e operatori, sotto organico e in condizioni estreme. Papa Leone XIV ha insistito sull'inserimento in attività lavorative – come laboratori e progetti esterni – per ridare speranza, criticando come poche strutture siano accessibili nonostante le potenzialità.

sabato 13 dicembre 2025

Santa Lucia: la festa della luce che viaggia da Siracusa alla Svezia

Quando arriva dicembre e le giornate si accorciano, una piccola fiammella illumina la notte più lunga dell’anno: è Santa Lucia, la “portatrice di luce”, celebrata il 13 dicembre in molte parti d’Europa con usanze antiche e sempre vive.

A Verona, la tradizione vuole che nella notte tra il 12 e il 13 dicembre la santa, insieme al suo asinello, porti doni e dolcetti ai bambini buoni. La città si anima con il Mercatino di Santa Lucia in Piazza Bra, dove bancarelle di dolci, giocattoli e oggetti artigianali riempiono l’aria di profumi e colori. Non mancano le “pastefrolle di Lucia” e le canzoncine dedicate alla santa, simbolo di speranza nelle lunghe notti d’inverno.

Ma Santa Lucia non è solo veneta. In Svezia, la sua festa è una delle più luminose dell’anno. All’alba del 13 dicembre, giovani ragazze indossano lunghe vesti bianche e corone di candele accese nei capelli, guidando processioni e cori che celebrano il ritorno della luce nel periodo più buio. Il canto tradizionale – dedicato a Lucia di Siracusa – crea un’atmosfera magica, quasi sospesa tra fede e poesia nordica.

In Sicilia, terra d’origine della santa, il 13 dicembre è occasione di fede e tradizione popolare: a Siracusa, una grande processione accompagna la statua argentea di Lucia dalla cattedrale al mare, ricordo del suo martirio nel 304 d.C. Qui si mangia la cuccìa, un dolce di grano bollito con crema di ricotta o cioccolato, simbolo di rinascita e gratitudine.

In altre zone del Nord Italia, come Brescia e Bergamo, Santa Lucia resta la protagonista dei doni ai bambini, una sorta di “pre-anteprima” del Natale. È lei, non Babbo Natale, a portare i regali: un gesto che mette al centro la luce interiore, più che l’abbondanza materiale.

Da Verona a Stoccolma, da Siracusa alle Alpi, questa festa parla un linguaggio universale: quello della luce che vince il buio, della bontà che si rinnova, e della speranza che una candela può portare anche nella stagione più fredda.

venerdì 12 dicembre 2025

Dare un senso alle tradizioni

La Diocesi interviene con un comunicato stampa dopo il caso dell’eliminazione del riferimento a Gesù in una canzone natalizia avvenuto in una scuola reggiana

La scelta di eliminare ogni riferimento a Gesù in una nota canzone natalizia può essere classificata come un “cortocircuito”, visto che la scuola di Reggio Emilia che ha promosso l’iniziativa porta il nome di “San Giovanni Bosco”, il santo italiano educatore per eccellenza.
Siamo dispiaciuti e addolorati se questa è la strada imboccata dalla scuola pubblica del nostro Paese.

Ne aveva parlato l’Arcivescovo Giacomo Morandi nell’omelia in occasione del Patrono San Prospero il 24 novembre scorso: “L’esperienza e la vita cristiana sono una realtà essenziale della nostra identità sociale e pubblica che non si può e non si deve cancellare, quasi costituisse un potenziale impedimento all’incontro con coloro che provengono da altri contesti culturali e religiosi. L’identità non è un ostacolo al dialogo, al contrario ne è una condizione ed una premessa indispensabile.

Reggio Emilia, da questo punto di vista, ha imparato ad essere una città accogliente, attraversando periodi storici travagliati come quelli dell’immediato dopo guerra, dove le diversità sociali e politiche hanno avuto anche risvolti drammatici e dolorosi. L’accoglienza che abbiamo imparato non può ridimensionare o impoverire la nostra tradizione.

Anzi, mentre rispettiamo chi viene da altre esperienze culturali e religiose, chiediamo di potere condividere e custodire – direi con una certa e sana gelosia – i nostri doni, la nostra tradizione cristiana, i nostri simboli che tanto hanno contribuito alla costruzione della nostra città, del nostro paese Italia e dell’intero continente europeo, che ha nelle radici cristiane una delle sue componenti identitarie fondamentali.

Tra i simboli più amati dal nostro popolo c’è il Presepio, il cui iniziatore fu proprio San Francesco, patrono d’Italia e infaticabile costruttore di pace”.

Papa Leone XIV di recente ha poi affermato: “La storia dell’educazione cattolica è storia dello Spirito all’opera. Chiesa «madre e maestra» non per supremazia, ma per servizio. Gli stili educativi che si sono succeduti mostrano una visione dell’uomo come immagine di Dio, chiamata alla verità e al bene, e un pluralismo di metodi al servizio di questa chiamata. I carismi educativi non sono formule rigide: sono risposte originali ai bisogni di ogni epoca”.

E così ha proseguito: “Orienta il cammino il Patto Educativo Globale. Con gratitudine raccolgo questa eredità profetica affidataci da Papa Francesco. È un invito a fare alleanza e rete per educare alla fraternità universale.

I suoi sette percorsi restano la nostra base: porre al centro la persona; ascoltare bambini e giovani; promuovere la dignità e la piena partecipazione delle donne; riconoscere la famiglia come prima educatrice; aprirsi all’accoglienza e all’inclusione; rinnovare l’economia e la politica al servizio dell’uomo; custodire la casa comune.

Queste ‘stelle’ hanno ispirato scuole, università e comunità educanti nel mondo, generando processi concreti di umanizzazione” (Lettera Apostolica “Disegnare nuove mappe di speranza” di Papa Leone XIV in occasione del LX anniversario della Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis, 28 ottobre 2025).

giovedì 11 dicembre 2025

Pietro e il racconto travolgente di Roberto Benigni

C’è qualcosa di unico nel vedere Roberto Benigni parlare in Vaticano: la sua parola, sempre in bilico tra poesia e sorriso, riesce a trasformare anche la teologia in un viaggio di emozioni e immagini. Questa volta, il protagonista non è un personaggio inventato — ma Pietro, l’uomo nel vento.  

Benigni lo racconta come un pescatore della Galilea che parte verso Roma, spinto solo dalla fede in un uomo che ha visto risorgere. Una figura fragile, piena di paure e contraddizioni, ma capace di trasformare la propria debolezza in missione. Il suo non è un eroe senza macchia: è uno che cade, rinnega, eppure ama fino alla croce — rovesciata, per umiltà.  

Il monologo attraversa i secoli: dalle ossa ritrovate da un’archeologa sotto il Vaticano al mare di Tiberiade, fino alle strade di Roma, dove un pugno di cristiani sfidava l’Impero con l’idea inaudita che tutti, uomini e donne, fossero uguali. Proprio questo, ricorda Benigni, faceva paura: la libertà del cuore, il ribaltamento delle gerarchie sociali e morali.  

Nel suo racconto incalzante, Pietro non è una statua ma un compagno di viaggio. È l’uomo che si lascia portare dal vento della fede, che inciampa e si rialza, che guarda Gesù e osa camminare sulle acque. È il simbolo di un’umanità che non si arrende al proprio limite, ma lo trasforma in testimonianza.  

E così, tra Roma e la Palestina, tra le lacrime e le risate, Benigni restituisce alla nostra epoca un Pietro più vivo che mai: non un santo irraggiungibile, ma un uomo che ha avuto il coraggio di credere.