mercoledì 12 novembre 2025

Monasteri: luoghi di spiritualità sempre più solitari

C’è un’Italia silenziosa che si sta spegnendo: è quella dei monasteri. Luoghi di preghiera, di studio e di lavoro che per secoli hanno alimentato la civiltà europea, oggi lottano per sopravvivere tra crisi di vocazioni, spese insostenibili e edifici troppo grandi per comunità sempre più esigue.

Secondo il rapporto “Vincoli in rete” del Ministero della Cultura, in Italia ci sono 861 monasteri, ma la maggioranza rischia l’abbandono. Un’analisi dell’Università di Bologna stimava già nel 2019 che il 60% delle comunità monastiche femminili sarebbe scomparso entro dieci anni. I numeri più recenti dell’Annuario statistico della Chiesa confermano il trend: solo nel 2025 l’Europa ha perso oltre settemila religiose, e quelle rimaste hanno un’età media così alta da rendere difficile la gestione ordinaria dei conventi.

Il declino ha molte cause: l’individualismo crescente, la perdita di senso comunitario e di fiducia nella fede, l’isolamento culturale in cui talvolta i monasteri sono caduti. Tuttavia, la posta in gioco va ben oltre l’aspetto religioso. Come ricordano gli storici, i monasteri furono culle di arte, agricoltura, architettura e cultura. Nelle loro biblioteche si salvarono i testi classici, nei loro campi nacquero sistemi agricoli avanzati, nei loro chiostri si formarono artisti e scienziati. Attorno ai centri monastici sorsero città, ospedali, scuole e persino università.

Oggi, però, molti di quei luoghi vengono riconvertiti in hotel o location per matrimoni. La Certosa di Pavia, capolavoro rinascimentale, è ormai solo un sito turistico; altri monasteri vengono comprati da privati o trasformati in centri eventi. Papa Francesco già nel 2013 aveva denunciato questa deriva, auspicando che i monasteri vuoti diventassero “luoghi di solidarietà, non alberghi di lusso”. In altri paesi europei, invece, si sperimentano vie più creative: in Svizzera e nei Paesi Bassi alcuni complessi monastici ospitano biblioteche, campus universitari o residenze per giovani, mantenendo viva la loro vocazione di custodi della conoscenza e della comunità.

Non mancano progetti simili anche in Italia: a Sant’Angelo in Pontano, nelle Marche, e a Lucca, dove il monastero di Vicopelago sarà destinato all’housing sociale. Ma sono ancora eccezioni. Secondo la Carta del Rischio del Ministero della Cultura, oltre duemila edifici religiosi necessitano di urgenti interventi di conservazione.

Il rischio è che, con la scomparsa delle comunità monastiche, si estingua anche un modo di vivere e pensare l’uomo: quello che lega fede e lavoro, silenzio e studio, preghiera e bellezza. La povertà monastica non fu mai miseria, ma libertà da ciò che distrae dall’essenziale; il chiostro non era chiusura, ma apertura al mistero e al tempo. Recuperare questo spirito – anche in forme nuove, laiche o condivise – potrebbe rappresentare una risposta preziosa alla crisi spirituale e sociale del presente.

I monasteri sono ancora lì, con i loro cortili di pietra e le cupole sprofondate nel cielo. Chiedono di essere abitati non solo da chi rinuncia al mondo, ma da chi vuole continuare a cercare senso dentro di esso.

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